Passaggio a Tunisi

di Marinette Pendola

Tramanda la tradizione che Garibaldi abbia incontrato Mazzini nel 1833 e che in quello stesso anno si sia iscritto alla Giovine Italia. Alcuni storici sostengono che vi entrò un anno dopo. Ad ogni modo, nel 1833, era già piuttosto sensibile ai temi della libertà. Perciò si arruolò nella marina sabauda con l’intento di far propaganda rivoluzionaria. La giovanile leggerezza con cui si mise a fare proselitismo non mancò di attirare l’attenzione della polizia che non esitò a farlo trasferire sulla fregata Conte de Geneys in partenza per il Brasile. Ma la sorte decise diversamente: prima ancora del continente sudamericano, il giovane Garibaldi avrebbe conosciuto l’esilio in terra nordafricana.

All’inizio del febbraio 1834, era stata organizzata un’insurrezione a Genova per tenere occupato l’esercito piemontese mentre un gruppo di volontari sarebbe penetrato in Savoia dalla Svizzera. Organizzato in tutta fretta, il moto fallì. Garibaldi, che avrebbe dovuto impadronirsi della fregata su cui era in servizio, si trovò solo all’appuntamento in Piazza Sarzano. Per sfuggire all’arresto, si travestì da contadino e si precipitò a Nizza e, dopo una ventina di giorni, giunse a Marsiglia, ospite dell’amico Giuseppe Pares.

Condannato a morte, nel giugno 1834, come bandito di primo catalogo, non poté tornare in Liguria. Dopo alcuni mesi trascorsi inoperosi a Marsiglia e un viaggio sul brigantino mercantile L’Unione, Garibaldi, fattosi assumere nella flottiglia del Bey Hessein con il nome di Joseph Pane, prese il comando di una fregata che il Bey aveva acquistato a Marsiglia e la portò fino al porto tunisino della Goletta.
Per alcuni mesi Garibaldi visse a Tunisi con alcuni mazziniani, fra cui Gaetano Fedriani che diverrà il punto di riferimento tunisino di Mazzini e il coordinatore di numerose attività a sostegno della causa italiana. Non si sa se Garibaldi e Fedriani si fossero conosciuti a Genova o durante l’esilio marsigliese. E’ certo che a Tunisi strinsero un legame d’amicizia così forte che rimase immutato negli anni.

Insieme a lui e a pochi altri, Garibaldi trovò rifugio in una rimessa di Palazzo Gnecco che il proprietario, il genovese Paolo Antonio Gnecco, ricco esportatore di oli e grano locali, aveva gentilmente messo a disposizione dei rifugiati politici. In quegli anni Tunisi era già una città cosmopolita. La corsa, con il conseguente mercato degli schiavi, era stata abolita da appena una ventina d’anni (1815). Molti schiavi affrancati avevano preferito stabilirsi in città piuttosto che tornare nel paese d’origine. Mercanti livornesi e francesi vivevano a Tunisi da tempo. Numerosi rifugiati politici italiani si riunivano intorno al giovane Fedriani. Al suo arrivo, Garibaldi ebbe modo di conoscere Giuseppe Morpurgo, giovane livornese repubblicano, Pompeo Sulema, un carbonaro giunto a Tunisi nel 1831, il Conte Corrado Politi, fuggito dalle carceri del papa, e molti altri.

Ad un viaggiatore che proveniva dalle coste settentrionali del Mediterraneo, Tunisi appariva a tutti gli effetti una città mediorientale. Di un biancore accecante, era stretta fra il Lago Bahira dalla parte del mare e il Lago Sedjoumi verso i monti. Il porto era ad una decina di chilometri, nella cittadella della Goletta. Il percorso per raggiungere la città veniva effettuato in barca, in appena un’ora se i rematori erano abili.


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Il canale della Goulette (Tunisi) in una foto d'epoca

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Aprile-Settembre 2007 (Numero 7)

Anita Garibaldi, Museo Civico del Risorgimento, Bologna

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