Musica nelle terre di confine

conversazione con Dario Mucci e Valerio Daniele

di Gianna Daniele

Barberie 1 (Miniatura 219x152 px)Più comunemente chiamate sale da barba o saloni, le barberìe erano frequentate non solo per le faccende di taglio e acconciature, ma in quanto luoghi importanti per l’apprendimento della musica e dell’arte popolare.
Quando si andava da un barbiere ci si allontanava per un momento dalla condizione sociale aspra che la classe povera era costretta a vivere. I barbieri, negli intervalli di tempo liberi durante la settimana, svolgevano attività musicale e chiunque poteva apprendere lo studio di uno strumento.
Nelle feste di casa, nei matrimoni, nelle sale da ballo la musica era affidata a orchestrine a plettro o a fiati, quasi sempre capitanate dal barbiere del paese. Da qui prende nome il genere musicale barberìa.

Il mestiere del barbiere e del musicista sono strettamente legati, in fondo, da sempre. Molti barbieri, in buona parte del Sud Italia, erano suonatori di strumenti a corda (chitarra, mandolino, violino), retaggio derivato probabilmente dalla dominazione spagnola nei secoli passati (rif.: Barbiere di Siviglia di Pierre-Augustin Caron de Beaumarchais messo in opera da Rossini e prima ancora da Paisiello). In antichità la figura del Barbiere era di grandissimo peso ed autorità.

Fin dai tempi dei greci e poi dei romani, i barbieri praticavano operazioni chirurgiche ed estrazioni dentali, per non parlare dei riti sciamanici che esercitavano sin dall’era egizia. Erano dei veri e propri tutto fare, esattamente come il Figaro di Rossini ed i barbieri salentini, a cui veniva affidato ad esempio anche il compito di portare la serenata alla propria amata.
Siamo nel Salento ed apriamo una finestra sulla musica e la vita popolare dell’Ottocento e della prima metà del Novecento, riscoperte grazie ad una attenta e raffinata opera di ricerca storica e musicale di Dario e Valerio, musicisti salentini, la conversazione con i quali, tradotta in queste righe, ci aiuta a dipanare l’intricata matassa di parte della nostra storia.

Ricerca difficile, perché le fonti storiche non tramandano una tradizione scritta, che avrebbe consentito di conoscere l’evoluzione nel tempo e nello spazio di testi e melodie, ma la conservazione e la trasmissione delle conoscenze è avvenuta per lo più in forma orale. Fra i pochi esempi di forma poetica popolare antica c’è lo strambotto, presente già nel Trecento e nel Quattrocento, addirittura secondo altri studiosi nel Duecento. Ma solo dalla prima metà del Settecento iniziano le prime fasi di trascrizioni e divulgazioni di canti popolari, che si suppone siano stati accompagnati da strumenti a corda e, nel caso ad esempio della pizzica salentina, dal tamburello.

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