Da una ventina d’anni nelle sale del Museo Civico del Risorgimento di Bologna è esposta una statuetta in terracotta, alta appena 30 centimetri, opera di uno scultore non molto noto, il forlivese Fortunato Zampanelli (1828–1909), dal titolo struggente: L’addio dello studente bersagliere.
Il gruppo, realizzato all’indomani del 1848, rappresenta due giovani: una fanciulla in lacrime ed un bersagliere con il cappello piumato in capo, che la stringe e sembra consolarla. Il giovane si appresta a partire per la Prima Guerra di Indipendenza, sta salutando la fidanzata e tenta inutilmente di consolarla e tranquillizzarla. Lo scultore Zampanelli, che negli anni centrali del Risorgimento partì volontario per quattro campagne di guerra, volle rappresentare nella terracotta una scena a lui ben nota: la partenza per la guerra dei giovani volontari, o forse addirittura la propria. Erano quelle guerre sostenute dall’entusiasmo popolare e dall’esuberanza giovanile, nelle quali i battaglioni studenteschi ebbero un ruolo primario: chi non ricorda i battaglioni universitari toscani che combatterono a Curtatone e Montanara, o le note della canzone che accompagnò i volontari in quella ed in altre campagne:
Addio mia bella addio,
che l’armata se ne va,
e se non partissi anch’io
sarebbe una viltà.
Il sacco è preparato,
il fucile l’ho con me,
ed allo spuntar del sole
io partirò da te.
Ma non ti lascio sola
io ti lascio un figlio ancor
Sarà quel che ti consola:
il figlio dell’amor.
Il volontarismo nel Risorgimento coinvolse migliaia e migliaia di persone, in massima parte giovani e giovanissimi, di quasi ogni provenienza sociale e territoriale (anche se assenti furono, quasi completamente, i lavoratori della terra che, all’epoca, erano senza dubbio la grande maggioranza della popolazione).
Fu un fenomeno che colorò profondamente gli anni centrali dell’Ottocento, lasciando poi, per gli sviluppi che presero le vicende del nuovo Regno d’Italia, una lunga scia di delusi, ma non di pentiti delle scelte fatte in gioventù.