Chi sapeva, prima del marzo di quest’anno, che cos’era la data del 17?
Lo sapevano in pochi, pochissimi.
Anche nei testi divulgativi la data non ha una particolare sottolineatura; trattando dell’Unità d’Italia, l’accento viene messo sulle imprese garibaldine, sull’esilio mazziniano, sulla gesta degli eroi e delle eroine, i fratelli Bandiera, la Trivulzio di Belgioioso, la presa di Porta Pia e perfino è più nota l’attività galante-patriottica della contessa di Castiglione.
Eppure, il 17 marzo 1861, l’Italia
per legge diventa una nazione; quindi la data è altamente significativa.

Non che prima non ci fosse l’Italia degli italiani: c’era, ovviamente. C’era per la lingua di Dante, per il Rinascimento, per la secolare cultura che era stata cantata da secoli di una terra tanto vera nella mente dei poeti quanto negata dalla storia, c’era per una identità storica sociale e religiosa che accomunava la penisola. Anche se le differenze, che non vanno sottaciute, dopo l’unità politica furono evidenti, l’italiano dei piemontesi era incomprensibile a Napoli e viceversa.
Ma il processo di riunione e riconoscimento in un’unica patria era già maturo nel pensiero e nei sentimenti di coloro che in svariati modi sostennero e combatterono per l’obbiettivo che si concretizzò nel ’61; peraltro, lo stesso Vittorio Emanuele, ancor prima del 17 marzo, fu riconosciuto e acclamato come Re d’Italia in tante occasioni, ma senza il suggello che lo avrebbe di diritto nominato re di uno Stato che fosse al pari delle altre più antiche Nazioni.
Certo, c’era stata una Repubblica e poi un Regno d’Italia bonapartista nei primi anni dell’Ottocento, in una parte della penisola, identificabile grosso modo nella Lombardia, con un progetto che non prevedeva l’unificazione di tutta la penisola, ma piuttosto una federazione di alcuni staterelli: eravamo come un protettorato dell’Impero di Napoleone, una cosa francese, insomma. Ma non fu poi negativo detto periodo, in quanto si affermò il nome di Italia, anche semanticamente, come Stato, e bisogna riconoscere che il seme dell’unità politica fu proprio seminato in quegli anni dell’Italia delle Repubbliche Cispadana e Cisalpina di stampo giacobino prima, e nei tentativi sfumati di Murat in seguito.
Ma poi si ritornò anche indietro. Infatti, nel congresso di Vienna, l’affermazione derisoria di Metternich, che suonava nella sostanza col dire che l’Italia non era altro che una espressione geografica, sottolineò il ritorno alle divisioni territoriali precedenti.
Immagine nella pagina: Ritratto di Camillo Benso conte di Cavour