La sala, attualmente agibile a soli 80 spettatori, era stata concepita per ospitarne duecento; ciò non deve stupire in quanto in altre epoche i criteri di sicurezza erano completamente diversi dai nostri. Al teatro si poteva accedere in più modi. I padroni di casa ed i loro ospiti avevano la possibilità di entrare in sala direttamente dagli ambienti della villa mentre il resto del pubblico utilizzava l’ingresso dal giardino, che tramite un atrio triangolare immetteva nella platea.
Pare che l’attività del teatro, talvolta privata ma spesso pubblica, fosse intensa già dai primissimi anni della sua costruzione e che, meno di dieci anni dopo l’inaugurazione, l’alto livello delle rappresentazioni che qui si svolgevano fosse una realtà consolidata all’interno della vita culturale aristocratica della campagna bolognese.
A Gianfrancesco Aldrovandi Marescotti succedette il figlio Carlo Filippo, che operò una regolare manutenzione per il buon mantenimento del teatro, rinnovando scene e costumi, il sipario ed il palcoscenico. Durante la sua gestione si realizzarono due fondali di tela rappresentanti il Carcere e l’Atrio dorico e dei celetti, elementi di scena che facevano le veci del soffitto. Questi pochi arredi di scena andarono dispersi, con la sola eccezione del fondale con l’Atrio, forse opera giovanile di Pelagio Palagi, protetto di Carlo Filippo. Tuttavia all’epoca di quest’ultimo la situazione politica e sociale non era più compatibile con un teatro aristocratico, espressione degli ideali d’arte delle classi nobili e quindi il calendario divenne discontinuo, premessa di una progressiva decadenza.