Nel periodo seguente l’unificazione, Bologna aveva conosciuto un notevole rinnovamento culturale, politico, economico e sociale, grazie soprattutto ad una nuova classe dirigente. Espressione di questa Bologna in fase di crescita fu l’Esposizione del 1888, sostenuta da buona parte della dirigenza cittadina per ragioni di ordine economico e politico (
v. Jourdelò n°15, gen-mar 2010). I luoghi deputati ad ospitare le varie iniziative furono i giardini pubblici
Regina Margherita e la villa di S. Michele in Bosco, collegata ai giardini tramite una tramvia a vapore ed una funicolare a doppio binario. Ai giardini furono allestiti il palazzo dell’industria, dell’agricoltura e della musica; a S. Michele in Bosco invece furono predisposte l’Esposizione di Belle Arti ed il cosiddetto
Tempio del Risorgimento, luogo atto ad illustrare ai giovani i fatti di un vicino passato, inteso come essenziale punto di riferimento per poter costruire un Paese nuovo.
Il principale artefice di questo Padiglione risorgimentale fu Raffaele Belluzzi, già animatore dell’Esposizione di Torino del 1884. A lui si dovette un’instancabile attività di raccolta dei materiali presso enti, privati, archivi più o meno noti della regione. Il ricco patrimonio documentale esposto abbracciava il periodo 1789-1870 e si soffermava principalmente sugli avvenimenti più rilevanti per l’Emilia, con particolare considerazione per la tematica bellica.
Dopo la chiusura del Tempio del Risorgimento, fu ancora una volta Belluzzi, appoggiato dalla Commissione ordinatrice, a proporre al Comitato esecutivo dell’Esposizione la realizzazione di una mostra permanente.
Quest’ultimo, poco prima di sciogliersi, reiterò
viva istanza al Municipio per ottenere la conservazione in apposito museo degli oggetti che figuravano nel Tempio del Risorgimento. La classe dirigente cittadina, a questo punto, non poté più esimersi dal compiere una scelta, tanto più di fronte all’evidente successo registrato dalla mostra risorgimentale. Stando alle parole scritte da Vittorio Fiorini:
Uomini vecchi ne ho visti molti trattenersi in quelle sale; guardavano attentamente ogni vetrina, giravano ore e ore, ma quasi tutti finivano col fermarsi più a lungo e tornare o ritornare ad un punto solo: chissà quali rimembranze di cose amate o sofferte o fors’anche non comprese, ma rimaste vaghe in un ripostiglio della memoria ed ora d’improvviso rischiarate, si ridestavano!
Così, il 24 ottobre 1889, il Consiglio comunale arrivava a deliberare all’unanimità la proposta avanzata dall’assessore Alberto Dallolio di assegnare, in via provvisoria, una sala del Museo Civico alle memorie risorgimentali. Non si parlò, in questa seduta, delle spese necessarie ad avviare l’operazione poiché, come sosteneva Dallolio, si sarebbe offeso il patriottismo del Consiglio comunale se ne fosse fatta solo una questione di carattere economico.
Immagine nella pagina: Giubba da alta uniforme di generale di divisione appartenuta a Josef Grabinski (1767-1835) 1800 / 1805, esposta al Museo