Questo lungarno è uno spettacolo così bello, così ampio, così magnifico, così gaio, così ridente che innamora:... non so se in tutta l’Europa si trovino vedute di questa sorta. Vi si passeggia con gran piacere, perché v’è quasi sempre un’aria di primavera: sicché in certe ore del giorno quella contrada è piena di mondo, piena di carrozze e di pedoni: vi si sentono parlare dieci o venti lingue, vi brilla un sole bellissimo tra le dorature dei caffè, delle botteghe piene di galanterie e nelle invetriate dei palazzi e delle case, tutte di bella architettura...
Così Giacomo Leopardi descriveva la città di Pisa alla sorella Paolina nel 1827. Nel XIX secolo Pisa era una città molto frequentata da viaggiatori, artisti e ricchi giovanotti che compivano il loro Grand Tour d’Europa, attratti non solo dal dolce clima, ma anche da quell’insieme romantico di arte e natura, di cultura e ruralità allora tanto ricercato.
Nonostante la città avesse già ospitato personaggi illustri come Montesquieu, Goethe, Alfieri, Goldoni, Shelley, quando si diffuse la voce che il famoso poeta inglese Lord Byron sarebbe giunto a Pisa, ci fu grande agitazione tra i cittadini, incuriositi soprattutto dalla bizzarra reputazione di cui Byron godeva nei salotti europei; su di lui circolavano un’infinità di storie …
tutte contraddittorie e molte assurde. Si diceva che quell’uomo era di sangue reale, ricchissimo, di temperamento sanguigno, capriccioso e tirannico nelle sue abitudini, esperto cavallerizzo, preda del suo genio malvagio e tuttavia di un’intelligenza sovrumana...
La polizia locale era stata incaricata dal Governatore di Pisa di tenerlo sotto controllo non appena avesse messo piede in città, perché era considerato un individuo pericoloso: infatti Byron aveva scritto un’opera poetica intitolata
Dante’s Prophecy (La Profezia di Dante), ritenuta sovversiva.
Ma soprattutto era sospettato di aver aiutato la setta dei Carbonari nei tentativi di insurrezione nelle Romagne, fornendole ingenti somme di denaro e nascondendo armi e munizioni; inoltre aveva anche osato appendere la bandiera tricolore al balcone del palazzo in cui abitava a Ravenna, ma, poiché era un Pari inglese, non si poterono prendere provvedimenti contro di lui. Invece i suoi amici, il conte Ruggero Gamba col figlio Pietro, sospettati anch’essi di carbonarismo, vennero esiliati da Ravenna e si trasferirono a Pisa insieme all’altra figlia del conte, Teresa Gamba Guiccioli, che aveva ottenuto di recente la separazione dal marito ed era costretta a vivere col padre.
Immagine nella pagina: Corsa delle barchette sull'Arno a Pisa, stampa ottocentesca