Comprendere cosa sia stata la vita scientifica e tecnologica dell’Ottocento per chi l’ha vissuta in prima persona non è di certo facile. Le nostre conoscenze, evolute, diffuse, estremizzate ci consentono di farcene una idea nostra, ma ci impediscono di apprezzare fino in fondo cosa abbia significato per l’epoca.
Ne risulta giocoforza una visione viziata. In più, cosa terribile, siamo smaliziati al punto che più nulla ci stupisce. E questo è dovuto alla rivoluzione tecnologica degli ultimi decenni. Negli anni sessanta-settanta, l’
uomo sulla luna riusciva ancora a stupire… oggi nulla più riesce a stupire.
Tutto è spiegabile, atteso, e il processo di assuefazione, e quindi sdoganamento verso la quotidianità, dura al più qualche minuto. Turismo nello spazio, prototipi di automobili funzionanti ad aria compressa e clonazione potranno farci discutere su aspetti e sfumature etico-sociali, ma di certo rientrano immediatamente nella norma.
Un buon contributo a questo processo è stato dato dalle telecomunicazioni. Telecomunicazioni: tele-fono, tele-visione, tele-grafo… e tutto quanto si possa attaccare al prefisso greco Têle, lontano, a distanza. Le telecomunicazioni sono quello che si fa a distanza: parlare, vedere, scrivere. Ma molto di più. Se vogliamo cambiare canale sulla tele-visione usiamo il tele-comando, per entrare in autostrada il tele-pass, durante un gran premio di formula uno sentiamo ripetutamente citare la tele-metria, molti di noi aspirano al tele-lavoro, e così via. Alle telecomunicazioni siamo assuefatti. Dalle telecomunicazioni siamo dipendenti. Ebbene, anche le telecomunicazioni moderne devono rendere grazie al nostro amato Ottocento.
Sostanzialmente le comunicazioni a distanza si possono dividere secondo due grandi categorie: le comunicazioni via etere e quelle via cavo.
Le comunicazioni via etere vedono il loro principale luminare sul finire del secolo proprio qui a Bologna, Guglielmo Marconi.