Il Palazzo, denominato anche d’Accursio dall’antica proprietà del primitivo nucleo medievale, sede politica e amministrativa dal Trecento, nella destinazione delle sue parti era venuto progressivamente a rispecchiare il regime di governo misto della città con la destinazione del piano nobile alle magistrature cittadine e del secondo ai Legati pontifici. Fin dal Seicento il complesso monumentale era stato identificato anche come luogo di conservazione, sistematizzazione e pubblica fruizione di raccolte donate alla città.
Palazzo d'Accursio, Piazza Maggiore, Bologna
Risale al 1617 l’allestimento al suo interno delle collezioni scientifiche del grande naturalista Ulisse Aldrovandi, e al 1677 l’affiancamento ad esso della Wunderkammer del marchese Ferdinando Cospi. Questa realtà museale, che aveva assunto fama internazionale, nel secolo dei Lumi, sarebbe stata destinata ad alimentare un più innovativo concetto di museo in una sede diversa, Palazzo Poggi in Strada San Donato, innescando un processo che portava a dissolvere l’unità d’origine delle raccolte e la ricchezza dei nessi con le figure dei collezionisti, riaggregandone i materiali secondo più moderni modelli culturali (1742-43). Un processo, che nel momento in cui proiettava Bologna in una nuova dimensione culturale di raggio europeo, vedeva contestualmente scemare il forte riferimento civico connesso al luogo sia per la contiguità con le sedi del governo cittadino che per la prossimità con quello dello Studio.
Attraverso i secoli dell’Antico Regime il palazzo si era arricchito inoltre di importanti opere d’arte che ne sottolineavano la funzione di luogo della vita politica e civica, del cerimoniale pubblico, della memoria storica, del fasto cittadino. Questo patrimonio, di cui resta memoria nelle testimonianze dei viaggiatori stranieri, privo di condizioni e strumenti di tutela adeguati, sarebbe stato disperso a seguito degli avvicendamenti politici.
Al piano nobile, nell’appartamento degli Anziani e del Gonfaloniere, in epoca barocca campeggiavano alcuni importanti dipinti esposti all’ammirazione del visitatore, appositamente commissionati o pervenuti per lascito. Alcuni di essi sarebbero confluiti nella sede nazionale della Pinacoteca, a seguito delle soppressioni napoleoniche: di Guido Reni il Pallione con la Madonna e i Santi protettori di Bologna (commissionato dal Senato come ex voto per la peste del 1630) e il Sansone donato dal cardinale Girolamo Boncompagni allo stesso Senato nel 1684. Altri dipinti sono andati dispersi, mentre una grande tela di Marcantonio Franceschini con Santa Caterina de’ Vigri fu trasferita a Roma nella chiesa di Santi Giovanni e Petronio dei Bolognesi, dove tuttora si trova.