Il museo, fondato nel 1966, ha sede all'interno di Villa Spada dal 1990. In un'area di circa 1000 mq sono inclusi spazi espositivi, depositi, sala conferenza, biblioteca, uffici e il laboratorio di restauro.
Il parco, al centro del quale è collocata la villa e dal quale si ha accesso, è uno spazio di pertinenza comunale, dal quale si entra anche alla biblioteca di quartiere.
LA VILLA
La villa sorge su una proprietà precedentemente appartenuta alla famiglia Danzi il cui ultimo rappresentante, Giacomo Vincenzo, nominò suoi eredi gli Zambeccari. Il casino di San Guseppe da Ravone posto fuori porta Saragozza, venne trasformato da Giacomo Zambeccari in una residenza di campagna, non lontana dal palazzo che aveva appena fatto ristrutturare da Carlo Bianconi in via Carbonesi, di fronte alla chiesa di San Paolo Maggiore, anch'esso ereditato dal Danzi. Nel caso della villa la direzione e il progetto vennero affidati ad un altro giovane architetto emergente a Bologna alla fine del XVIII secolo, Giovanni Battista Martinetti. La realizzazione del progetto si colloca attorno all'ultimo decennio del Settecento, in coincidenza con la chiusura del cantiere del palazzo di città. Alla morte di Giacomo Zambeccari la villa passò dai suoi eredi alla famiglia del principe Clemente Veralli Spada, che la acquisì tramite la moglie nel 1820. Successivamente proprietà del cantante Antonio Poggi, la villa sarà sede del comando austriaco nel 1849, abitazione del principe Hossein Cheriff Bey e, dal 1920, della famiglia Pisa. Sede del comando tedesco durante la seconda guerra mondiale, l'edificio sarà parzialmente compromesso dai bombardamenti. Nel 1964 il Comune la acquista dai Pisa e ne apre al pubblico il parco. Inizia il degrado delle strutture costruite nel parco, come il mausoleo del cane e l'obelisco, le fontane, i vasi e le statue. Nel 1985 la villa viene destinata ad ospitare il Museo della Tappezzeria e restaurata dall'architetto Stefano Zironi. In questo periodo si riporta in vita anche il giardino all'italiana, popolandolo di 12 erme in terracotta rappresentanti i mesi, opera di Nicola Zamboni.
La villa, a due piani più il livello dei mezzanini, sorge su uno zoccolo a bugnato liscio poco sporgente sul quale poggia l'ordine gigante di lesene tuscaniche che raccorda le finestre del primo e secondo piano e scandisce verticalmente la facciata. La fronte principale, dominata da un timpano triangolare occupato in origine dallo stemma Zambeccari, poggiante su un fregio dorico, si contrappone a quella posteriore, dove la linea dei mezzanini spicca tra la cornice a tre fasce e il coronamento, alternatamente composto da balaustre e muretti pieni, scanditi da basi sormontate da sfere in pietra.
Sul lato ovest si innesta un corpo di fabbrica absidato, posto sulla ghiacciaia da neve, che era destinato, secondo le ultime mode neoclassiche, a Caffeaus. La struttura, direttamente aperta sul giardino attraverso una terrazza, era riccamente decorata, come dimostrano i resti tuttora presenti: la grande statua di Zefiro nella nicchia centrale dell'abside, opera dello scultore bolognese Giacomo de Maria, i due medaglioni ovali in stucco dello stesso autore con i miti di Diana e Endimione e Apollo e Dafne e le tracce della decorazione parietale. L'interno della villa ha subito gravi danni durante l'ultima guerra mondiale e nel periodo di abbandono successivo. Lo dimostrano molte decorazioni scultoree mutilate nella Galleria delle Arti al primo piano e le lacune delle decorazioni pittoriche. La decorazione plastica è affidata a Giacomo de Maria, protetto di Giacomo Zambeccari, e quella pittorica a Serafino Barozzi e Filippo Pedrini
Al piano terreno rimangono le cornici sopra le porte, decorate da bassorilievi, che si ripetono anche sulle finestre esterne del piano nobile della facciata principale. Al primo piano la Galleria delle Arti, così denominata dalle tre statue acefale nelle nicchie, è decorata sul lato corto da una nicchia con un busto di gentildonna forse appartenente alla famiglia Zambeccari. Sopra le porte che introducono agli altri ambienti Giacomo de Maria colloca i ritratti di profilo di Giacomo e Ginevra Zambeccari, i primi proprietari del palazzo, entro medaglioni retti da coppie di putti, anch'essi gravemente mutilati. Le raffinate candelabre a basso rilievo della sala da pranzo sono state realizzate su disegno di de Maria con gli stessi stampi poi utilizzati per la sala d'onore di palazzo Zani, in via Santo Stefano, dove lo scultore fu impegnato alcuni anno dopo. Sulle pareti rimangono tracce della decorazione pittorica di Serafino Barozzi e Filippo Pedrini.
Il secondo piano, dove la decorazione pittorica è in parte sopravvissuta, è caratterizzato dalla presenza di una piccola sala con decorazione alla cinese, largamente diffusa in tutta Europa alla fine del XVIII secolo, ma soprattutto da una deliziosa, una stanza decorata da Barozzi in modo da ricreare l'atmosfera di un berceau in vimini e legni intrecciati, dalle cui aperture spuntano statue, siepi e amorini. Questa decorazione interamente dipinta, che raccoglie l'eredità della tradizione quadraturistica bolognese rivisitata in chiave rococò, è tipica della fine del XVIII secolo e dell'inizio di quello successivo e ne rimangono splendidi esempi a Palazzo Comunale, Palazzo Ercolani e Palazzo Aldini Sanguinetti, oggi sede del Museo della Musica.
Anche il giardino all'esterno della villa è opera di Giovanni Battista Martinetti, celebre per la sua attività di architetto paesaggista, e ne rimangono alcune, anche se deboli, tracce pazientemente ricostruite nel restauro degli anni '80. La struttura a terrazzamenti fa pensare ad una sistemazione originaria in parte a giardino pensile, decorato da statue di cui rimane solo il gigantesco Ercole in macigno, opera di Giacomo de Maria. Sono perdute la voliera, le vasche con giochi d'acqua e la serra degli aranci. Sopravvive il piccolo Mausoleo del cane o Tempietto di Diana, gravemente deturpato dagli anni di abbandono seguiti alla guerra, ma testimonianza della passione del marchese Zambeccari per la caccia, passatempo principe delle sue vacanze in campagna.