Tra febbraio e marzo viene concessa la Costituzione a Napoli, Firenze e Torino; ci si aspetta che avvenga presto anche a Roma, ma dietro la facciata delle riforme c’è invece un grande problema. La questione esplode il 10 febbraio, quando Pio IX proclama la benedizione Benedite gran Dio l’Italia, che punta a riaffermare la posizione della Chiesa nel contesto italiano e la necessità dell’esistenza dello Stato Pontificio. Essa viene invece generalmente interpretata come un’autorizzazione alla guerra contro l’Austria.
È bene chiarirsi: Pio IX al momento della sua elezione al soglio pontificio, nel 1846, grazie ad alcuni atti ufficiali e scelte fatte, sembra essere un Papa liberale, ma resta ben ancorato ad alcuni principi: l’unità dei Cattolici e la salvaguardia del potere temporale della Chiesa. Tutte le sue riforme infatti non toccano tali aspetti. Dall’altra parte c’è però un’opinione pubblica, in particolare a Roma, che appena ottenuta una concessione subito ne chiede un’altra, e poi un’altra ancora. Patrioti di vario tipo, inclusi i ministri liberali, potevano riconoscere genuinamente l’autorità morale del Papa, ma volevano anche ottenere una Costituzione che gli togliesse il vero potere e lo consegnasse nelle mani di rappresentanti laici eletti dal popolo: in pratica loro stessi. Nel 1848 l’idea di un papato puramente spirituale era però eccessiva: Pio IX quindi si trova schiacciato tra una reale disponibilità a fare concessioni da un lato, e pretese impossibili da soddisfare dall’altro. Dove trovare l’equilibrio? Dove fermarsi? E i patrioti italiani lo avrebbero capito? Era in gioco anche il rapporto con l’Austria: si cercava di tirare per la tonaca il Papa nel dichiarare guerra. Ma come poteva il Papa cattolico dichiarare guerra a uno stato cattolico come l’Austria?
Le sue parole vengono dunque fraintese: da alcuni forse involontariamente, perché non avevano capito cosa c’era in ballo, da altri volontariamente nel desiderio di forzare la mano verso la guerra. Nei due mesi successivi il registro non cambia: il 10 marzo Pio IX concede che venga scritto lo Statuto dello Stato Pontificio, ma le pressioni non si placano.
A metà marzo scoppiano le Cinque Giornate di Milano e la rivoluzione a Venezia. Il 24 marzo Re Carlo Alberto di Savoia dichiara guerra all’Austria e il giorno successivo le prime truppe piemontesi attraversano la frontiera: inizia la Prima Guerra d’Indipendenza. Le truppe pontificie sono comandate dal generale piemontese Giovanni Durando, cui era stato chiesto di riorganizzare l’esercito. Pio IX vuole che mantengano una posizione difensiva, Durando invece vorrebbe unirsi al conflitto: in fondo il suo vero sovrano è Carlo Alberto.
A Bologna l’entusiasmo è alle stelle. Che il Papa sia a favore della guerra appare naturale, visto quanto ha detto. Passa prima Durando con le truppe regolari e poi il Generale Ferrari, che deve guidare i contingenti di volontari: da Bologna ne partono ben 2.000, un buon contingente e a inizio aprile i soldati e i volontari pontifici sono vicinissimi al Po, che marca il confine, pronti ad attraversarlo. Il 5 aprile Durando lancia un proclama, in realtà scritto dal torinese Massimo d’Azeglio, che invita alla guerra santa contro l’Austria, implicando che questa sia la posizione del Papa. Il tono del proclama è molto forte, si invitano i soldati a portare un pezzo di stoffa rossa a forma di croce sull’uniforme e la frase di chiusura è addirittura un solenne Dio lo vuole. Non lo si usava dai tempi delle Crociate.
Immagine nella pagina
G. Induno, La battaglia di Magenta, 1861, Museo del Risorgimento di Milano (particolare)