È nel diciottesimo secolo che c’è il vero salto di qualità. Nel Settecento iniziarono a diffondersi due nuovi modelli, tra loro molto diversi. Un primo modello, molto simile a quelli odierni, almeno per concezione, non ha un vero proprio inventore a cui viene attribuito. Aveva due grandi ruote anteriori e una piccola ruota mobile posteriore. Un bellissimo esemplare del 1740 appartenuto a Elisabetta Cristina di Brunswick-Wolfenbüttel (la mamma di Sissi) è esposto al Museo del Mobile di Vienna. In tutto l’Ottocento si diffuse, come dimostra la galleria di immagini qui a fianco, subendo piccole variazioni e migliorie.
Il secondo modello invece ha un
padre, e per noi è il modello definitivo. Nel 1783 l’inglese John Dawson di Bath creò una sedia con due grandi ruote posteriori e una piccola ruota anteriore. Al bisogno la ruota anteriore poteva essere sostituita da una coppia di ruote e poteva essere agganciata ad un animale da tiro diventando così una sorta di piccola carrozza. Poteva essere spinta da una persona, poteva essere utilizzata in autonomia grazie alle grandi ruote. Non era eccessivamente larga, e quindi poteva essere utilizzata anche in casa (una casa grande, si intende). È conosciuta come
sedia di Bath. Se andiamo a visitare il Compendio Garibaldino vedremo 3 o 4 sedie esattamente di questo modello, che fu in uso per tutto l’Ottocento. Anche questa nel corso di tutto il secolo subì miglioramenti e varianti: aggiunta di ammortizzatori, di cappottine e altri accessori, ma nessuno fu sostanziale sino al 1932, quando Harry Jennings studiò per Herbert Everest, suo amico, il primo prototipo pieghevole in acciaio tubolare. Assieme fondarono la Everest and Jennings, che fu la prima ditta a produrre sedie a rotelle su larga scala e mantenne più o meno il primato mondiale per una cinquantina di anni. Alla fine della Seconda Guerra Mondiale fecero comparsa infine le sedie a rotelle motorizzate.
Torniamo a Garibaldi, altrimenti se chiudiamo l’articolo parlando della sedia potrebbe offendersi (era anche molto orgoglioso e un po’ vanesio). Insomma, con grandissima dignità l’eroe dei due mondi finì gli ultimi anni della sua vita da invalido. Passando dal letto ortopedico, alla poltrona-scrittoio, alla sedia a rotelle. L’invalidità fu solamente fisica. La sua mente continuò a brillare sino alla fine, la sua personalità si fece strada anche in quel periodo e non si fece di sicuro fermare da una stupida ferita ad una gamba.