Ai primi di novembre venne eretto sul sagrato di San Petronio, nella piazza detta Maggiore, un grande palco di legno, delle stesse misure della sala del Concistoro di Roma, a cui si accedeva tramite un tavolato cordonato in pendio, ad imitazione dei due scaloni di Palazzo d’Accursio progettati dal Bramante, e addobbato con panni bianchi e turchini, tappezzerie ed arazzi ricchi di oro e seta, tralci di foglie d’edera, lauro e mirto, con sedie di velluto verde per le alte cariche ecclesiastiche e secolari e il soglio papale coperto di velluto rosso sopra gradini alzato.
Nell’imminenza dell’entrata di Carlo V gli accessi alla piazza erano sorvegliati da numerosi soldati a cavallo e a piedi, muniti di pezzi d’artiglieria, strategicamente disposti dal generale imperiale Don Antonio da Leyva, il quale, afflitto da gotta e non potendo camminare, si faceva portare in giro dai suoi schiavi assiso su una ricca sedia provvista di stanghe, suscitando la viva curiosità degli astanti.
Il 5 novembre, dopo avere trascorso la notte precedente presso il convento della Certosa ed avervi ricevuto i primi omaggi dalle legazioni bolognesi e pontificie, infine arrivò anche Carlo V, entrando da Porta San Felice per raggiungere la Piazza detta Maggiore con numeroso, sfarzoso e ben armato seguito inclusi mille cavalli, altre bocche da fuoco quali basilischi, colubrine e falconetti, araldi e musici, milizie spagnole, borgognone, fiamminghe, tedesche ed i famigerati Lanzichenecchi. L’amatissima moglie, Isabella del Portogallo, alla quale Carlo V affidava la reggenza durante le sue lunghe assenze, non lo accompagnò in quanto vicina al parto del terzo figlio, Ferdinando, che nacque infatti mentre Carlo era a Bologna.
Lungo le strade percorse dal corteo si affollarono numerose genti, ammassate alle finestre o ai balconi, persino sui tetti delle case, tutti vestiti a festa. Fra loro spiccavano le gentildonne bolognesi ornate con ogni eleganza, con varietà di acconciature e bella mostra di collane di perle e pietre preziose in barba alle leggi suntuarie che ponevano severe limitazioni allo sfarzo degli abiti e degli accessori. Dovevano comunque essere molto affascinanti poiché si notò che Carlo teneva sempre la berretta in capo, levandola solo quando passava di fronte a bellissime e gentili dame o onorate e nobili matrone.
All’ingresso dell’imperatore nella Piazza partì una scarica di artiglieria il cui inusitato fragore fu tale che gli uccelli che volavano sopra caddero morti o storditi. Salito sul palco e terminate le cerimonie d’uso, entrambi i monarchi si ritirarono nel Palazzo Pubblico (attuale Palazzo d’Accursio), ove avevano al piano nobile appartamenti attigui e, correva voce, collegati da una porticina segreta per incontri senza formalità e testimoni inopportuni.
Nei mesi seguenti si svolsero giostre, tornei, corse di cavalli, banchetti, balli ed altri lieti intrattenimenti, visite alle più belle chiese bolognesi e altri rinomati luoghi, ma vi furono anche incontri di varia natura con le più alte e rappresentative personalità dell’epoca venute per assistere all’incoronazione o per esporre le più disparate richieste o lamentele. Fra queste ultime emerge la difficile convivenza con parte delle truppe imperiali acquartierate nei villaggi dei dintorni bolognesi, che pretendevano con forza e violenza vettovaglie e mantenimento per sé stessi e i loro animali. La situazione era così grave che l’imperatore fece pubblicare un editto ove chi avesse preteso qualsivoglia contro volontà e senza pagamento avrebbe pagato… con la vita.
Immagine nella pagina:
Anonimo fiammingo, Ritratto di Isabella del Portogallo, Museo nazionale d’arte antica, Lisbona