Partire partirò, partir bisogna
dove comanderà nostro sovrano;
chi prenderà la strada di Bologna
e chi andrà a Parigi e chi a Milano.
Se tal partenza, o cara,
ti sembra amara, non lacrimare;
vado alla guerra e spero di tornare.
Quando saremo giunti all’Abetone
riposeremo la nostra bandiera
e quando si udirà forte il cannone,
addio Gigina cara, bona sera!
Ah che partenza amara,
Gigina cara, mi convien fare!
sono coscritto e mi convien marciare.
Di Francia e di Germania son venuti
a prenderci per forza a militare,
però allorquando ci sarem battuti
tutti, mia cara, speran di tornare.
Ah che partenza amara,
Gigina cara, Gigina bella!
di me non udrai forse più novella.
Questa canzone della fine del XVIII secolo, molto nota anche nel periodo del Risorgimento, ben tratteggia lo stato d’animo del coscritto del tempo, allorché doveva partire per andare a combattere in luoghi sconosciuti, con buone probabilità di non fare più ritorno.
Ma a fianco dei tanti soldati che eseguirono il dovere loro imposto, spesso perdendo la vita, ce ne furono tanti altri che quel dovere si rifiutarono di assolvere, non accettando di dover combattere o anche solo servire nell’esercito, ribellandosi nei modi più vari o cercando semplicemente di sopravvivere. Oppositori, disertori, renitenti, ammutinati: di quelle pecore nere sono rimaste ben poche tracce, dato che le loro imprese non erano certo gradite alle gerarchie militari e si cercava perciò di occultarle il più possibile, così da evitare di rendere pubblico il disonore arrecato ai rispettivi corpi di appartenenza e all’esercito in generale.
Immagine nella pagina:
Soldati del Secondo Reggimento di linea, 1812-13