Le prime avvisaglie in epoca giacobina
Cittadini fratelli carissimi, è già più di un anno che noi nel ritiro delle nostre case andiamo considerando i vostri nuovi piani, le vostre nuove Costituzioni. Agli uomini affidate la legislazione, agli uomini i governi e le magistrature, agli uomini le ambasciate, le trattazioni, i tribunali, gli eserciti. Dappertutto insomma risuonano gli uomini, e le femine non si sentono mai nominare che per il loro uso matrimoniale... Noi, fratelli carissimi, nel complesso del genere umano pretendiamo di non essere inferiori: in conseguenza di questa superiorità, o almeno uguaglianza, pretendiamo di essere considerate al par degli uomini in tutti i pubblici interessi dell’universale riforma… abbiamo dunque diritto di assistere a tutte le vostre adunanze ed assemblee, abbiamo diritto di concorrere alla formazione delle leggi, alle quali dobbiamo del pari assoggettarci...[1]
Il problema dell’emancipazione femminile è vivo nella Rivoluzione francese, e lo è anche nei paesi dove la Rivoluzione porta le sue idee, Italia compresa. Ma è vivo in modo molto particolare.
In un articolo di Umberto Marcelli dedicato alle Donne giacobine a Bologna 1796-1799, viene ampiamente citato il toscano Girolamo Bocalosi che nel 1797, in un suo opuscolo dal titolo Dell’educazione democratica da darsi al popolo italiano, scriveva:
Quasi tutti i governi presenti e passati hanno considerato le donne se non un gradino di più nella scala degli esseri irrazionali, vale a dire hanno fatto solo che non siano macellate come i manzi e i castrati, e pelate o fritte come i pollastri e i pesci. Del rimanente di qual altro diritto naturale god’egli questo sesso che lo anteponga ai bruti…? Si rispettano il cavallo e il cane… e alla donna, essere così importante per la conservazione della specie, essere così prezioso per i primi rudimenti d’educazione virile che da essa dipendono, essere di tanto compenso per il dolce che sparge infine con se stessa in tanti modi sull’amara vita dell’uomo: per tutto ciò nulla si è fatto per lei dalle leggi…
La donna è per tutto schiava… l’uomo fa le leggi, ed è naturale che le ha da fare più per il suo che per il vantaggio delle femmine...
Dunque, nel suo ampio trattato (ben 280 pagine), l’autore propone di impartire alle donne un’educazione fisica e morale analoga a quella maschile, basandosi sul presupposto di eguaglianza tra i due sessi, essendo le donne esseri razionali appartenenti al genere umano e soprattutto, come si è visto, coloro che per prime avrebbero provveduto all’educazione dei futuri cittadini (un principio questo che transiterà in modo quasi invariato nella visione mazziniana della donna, che pure partiva da principi diversi. Troviamo infatti discorsi simili ancora a fine ‘800 nelle carte e negli scritti di donne che pure avevano fatto tanto per il processo di unificazione del paese ed erano vissute da pari a pari al fianco di uomini illuminati. Un nome per tutte: Giorgina Craufurd moglie di Aurelio Saffi).
Quindi, per i giacobini occorreva sì applicare alle donne principi di eguaglianza, continuando però a precludere loro l’accesso a cariche politiche e civili perché, comunque, il loro primo ruolo era e doveva restare quello di procreare ed educare i nuovi cittadini.
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[1] Parole di una ignota donna cisalpina che, in un discorso dal titolo La causa delle donne, nel 1797 così vedeva i problemi del mondo femminile. In L. Capezzuoli, G. Cappabianca, Storia dell’emancipazione femminile, Roma, Editori Riuniti 1964, p.38.
Immagine nella pagina:
A. Kucharski, Olympe de Gouges al suo arrivo a Parigi (particolare), fine sec. XVIII.