L’ARTE DI FARE IL TORTELLINO
È nota la diatriba tra bolognesi e modenesi sulla paternità del tortellino. Ebbene una leggenda, ai margini del poema La Secchia Rapita di Alessandro Tassoni, narra che una sera Venere, Bacco e Marte, che parteggiavano per i Modenesi, si fermarono in una locanda di Castelfranco Emilia. L’oste, vedendo fortuitamente l’ombelico della bella ospite, ne rimase talmente colpito che, recatosi in cucina, creò con pasta sfoglia e ripieno di carne questa prelibatezza a somiglianza di esso.
Questa storia è raccontata dall’architetto Giuseppe Ceri nel poemetto L’Ombelico di Venere.
L’OMBELICO DI VENERE
Quando i Petroni contro i Geminiani
Arser di fiero sdegno
Per la rapita vil secchia di legno:
E senza indugio armati
Accorsero di Modena alle porte
Minacciando mine e stragi e morte
Venere, Marte e Bacco,
Dal ciel discesi in terra
A parteggiare in quell’atroce guerra,
Vollero dar riposo
Al faticato fianco
Nell’antica osteria di Castelfranco
Dove la dolce notte
Dal Tassoni cotanto celebrata,
Venere innamorata
Tutt’intera trascorse
In braccio ora di Marte, or del Tebano,
D’onta coprendo lo zoppo dio Vulcano.
Ma, giunta la dimane
Mentre il carro d’Apollo
Senza il menomo crollo
Della volta del cielo era salito
Alla più eccelsa parte,
Bacco ed il fiero Marte
Zitti e cheti, lasciata in letto sola
La divina compagna,
Andarono a girar per la campagna.
Dopo un profondo sonno
Venere gli occhi dolcemente aprio
E non veggendo l’uno e l’altro dio
Giacere ai fianchi suoi,
Tale tirata diede al campanello
Che fece risonar tutto il Castello.
L’oste che stava intento
Ad aggirar l’arrosto
Le scale come un gatto ascese tosto,
E nella stanza giunse,
Dove in camicia, seduta sul letto
In volto accesa d’ira e dì dispetto
Stava la diva donna,
Di cui la sera innanzi ebbe opinione
Ch’egli fosse un bellissimo garzone.
-Sai tu, villan cornuto,
Ove son iti i due compagni miei?
- Signora, io non saprei,
Pronto rispose l’oste;
Ma dianzi per istrada
Quel dal pennacchio rosso e dalla spada
Guardandomi in cagnesco,
M’ha detto a mala pena
Che questa sera torneranno a cena.
A siffatta notizia
Venere bella serenò le ciglia;
Poi con gran meraviglia
Dell’oste lì presente
Come se fosse sola,
Le candide lenzuola
Spinse in mezzo alla stanza,
Le belle gambe stese,
Dall’ampio letto scese
Con un salto sì poco misurato
Che sollevandosi la camicia bianca,
Poco più su dell’anca,
Onde l’oste felice
(Lo dico o non lo dico?)
Di Venere mirò il divin bellico!
Ma non si creda già
C’he a quella vaga e seducente vista
Pensieri di conquista
L’oste pudico entro dì sé volgesse;
Anzi un’idea soavemente casta
D’imitar quel bellico con la pasta
Gli balenò nel capo;
Ond’egli qual modesto cappuccino,
Fatto alla Diva un riverente inchino
In cucina discese;
E da una sfoglia fresca
Che la vecchia fantesca
Stava stendendo sovra d’un tagliere,
Un piccolo e ritondo pezzo tolse,
Che poi sul dito avvolse
In mille e mille forme
Tentando d’imitare
Quel bellico divino e singolare.
E l’oste ch’era guercio e bolognese,
Imitando di Venere il bellico
L’arte di fare il tortellino apprese!
Altra versione della leggenda del Tortellino è la seguente in cui si sostituisce a Venere una Marchesa. Si racconta che in una locanda di Castelfranco dell’Emilia, allora sotto Bologna, giunse una splendida Marchesina. Il cuoco dell’osteria, attratto da tale bellezza, spiò la donna dalla serratura e rimase colpito... dal suo ombelico. Quando arrivò il momento di preparare la cena, l’abile chef formò, con sfoglia e ripieno di carne, una nuova prelibatezza, ispirandosi proprio a quel nobile ombelico. Si narra anche che un cuoco, nel 1095, inventò questa pietanza volendo consegnare ai primi crociati che partivano da Bologna un ricordo della città. Altra leggenda narra che siano stati creati dal cuoco dell’antipapa Alessandro V morto a Bologna per avvelenamento nel 1410. Un un’altra storia la nascita del tortellino è datata 1821. Si narra che una non meglio identificata signora Adelaide, moglie di un notaio abitante in Corte Galluzzi, dovendo preparare una cena per certi importanti personaggi invitati dal marito per ottenere non so che favori, abbia presentato questa sua nuova creazione gastronomica ottenendo immediato successo. La storia non dice se il marito abbia ottenuto ciò che desiderava. Purtroppo questa versione dell’invenzione ci fa perdere la poesia della forma dell’ombelico di Venere o della Marchesina. A parte le leggende notizia certa su questa prelibatezza risale al 1570, anno in cui un Cuoco bolognese (forse Bartolomeo Scappi, cuoco di Pio V) fece stampare un migliaio di ricette tra cui c’era pure quella dei tortellini.
Nella biblioteca dell’Archiginnasio è conservato un manoscritto di cucina, il Codice 158 della fine del ‘300, in cui si parla già di tortellini.