Estratto sintetico dalla scheda realizzata dall'autrice per il volume Cincinnato Baruzzi (1796 - 1878), secondo numero della Collana Scultori bolognesi dell'800 e del '900 (a cura di Roberto Martorelli), Bononia University Press, Bologna, 2014
Maria Taglioni è sicuramente la danzatrice più celebre del XIX secolo e l’inventrice, assieme al suo coreografo, il padre Filippo, del balletto classico nella forma che oggi conosciamo. Per la prima volta con lei apparvero sulle scene i tutù e i piedi delle ballerine scivolarono nelle scarpette di raso legate alla caviglia dai nastri. La Taglioni fu protagonista di molti balletti romantici, caratterizzati dai temi drammatici, dalla presenza in scena di elfi, streghe e fate; lei stessa, nelle vesti di una Silfide, incantò le platee di mezza Europa, da Parigi a San Pietroburgo, da Milano a Bologna, dove si esibì, grazie alla mediazione dei Baruzzi, nel 1842.
All’apice della fama, la danzatrice chiese al celebre scultore di ritrarla durante la sosta a Bologna durante la quale fu ospite nella sua villa. In realtà la commissione del ritratto è anteriore allo spettacolo bolognese e si colloca nel 1841, data che compare su una fotografia d’epoca della scultura, conservata presso la biblioteca comunale di Imola, e che è confermata dai documenti. Nello stesso anno la corrispondenza dello scultore contiene numerosi riferimenti alla commissione di un busto della ballerina e di una statua al naturale, che la ritrae nel costume di scena del suo balletto più celebre, la Silfide. Il busto, anch’esso in veste di Silfide, fu esposto a Bologna nel 1841.
La commissione della statua al naturale ebbe una forte risonanza, tanto che nel giugno dello stesso anno il pittore Giuseppe Sogni si congratulava con Baruzzi per averla ottenuta e nel luglio lo scultore piemontese Giuseppe Gaggini, scrivendo al collega, sembrava più colpito da questa notizia che dalla significativa commissione di Carlo Alberto per il gruppo del Trionfo della Vergine e sperava che per la statua sarebbe stato utilizzato il marmo delle sue cave di Pinerolo.
Nell’ambiente milanese l’editore Canadelli, in contatto con Baruzzi per la Nerina, coglie l’occasione per richiedere anche un disegno della statua della Taglioni e nell’agitazione che coglie Bologna alla vigilia dell’esibizione della danzatrice al teatro Comunale, Luigi Crisostomo Ferrucci invia un sonetto per la danzatrice all’amico scultore, sperando che glielo faccia avere.
La realizzazione della statua diviene più frenetica dopo la visita dell’artista, tra febbraio e marzo 1843 è infatti pronto il modello da cui viene tratto il gesso e Carlo Chelli inizia la traduzione in marmo nel maggio del 1843. La statua verrà successivamente consegnata a Milano, mentre il busto sarà ritirato dal principe Troubetzkoy, di passaggio a Bologna per incarico della Taglioni. Un medaglione in marmo con l’effige della ballerina sarà realizzato da Baruzzi anche nel 1857.
In attesa che i marmi che ritraggono la Taglioni riemergano alla luce, ci resta il gesso della statua, documentata anche da una immagine d’epoca. Il gesso, ospitato nella villa già di Cincinnato Baruzzi, mostra la aggraziata danzatrice che avanza sulle punte dei piedi nudi. Con una mano appoggiata al fianco e l’altra sollevata fin quasi a collocarsi sulla linea della spalla, la Taglioni indossa una veste succinta e leggera che aderisce al corpo e due alucce che completano il suo travestimento da fata.
Il capo incoronato di fiori, i fiori trattenuti nella mano destra, il cespo di rose fiorite che le fanno da appoggio ricreano l’ambiente romantico del suo celebre balletto. Anche se tendente ad una certa idealizzazione la statua trasmette alcuni tratti tipici della ballerina come appare nelle immagini e nelle descrizioni letterarie dell’epoca: i lineamenti alati del volto, incorniciati dai capelli a bandeaux, le gambe ed i piedi snelli, le lunghe braccia, la vita sottile, stretta dal cinturino. Da questa statua Baruzzi trasse anche il piede della danzatrice che gli fu richiesto di scolpire secondo il gusto dell’epoca, che a piedi e mani di celebrità destinava una fetta del mercato della scultura in marmo. Baruzzi, per esempio, aveva già riprodotto, oltre alle mani di normali committenti, quella della celebre soprano Giuditta Pasta.