Jourdelò ricorda Gioachino Rossini nel centocinquantesimo anniversario della sua morte proponendo alcuni brani e aneddoti curiosi che leggiamo in opere e biografie a lui dedicate. Il libro, da cui sono tratti i brani che seguono, è scritto da Vittorio Emiliani e si intitola: Il furore e il silenzio. Vite di Gioacchino Rossini, editore il Mulino.
Gioachino Rossini nacque nel 1792 a Pesaro che, a quel tempo, faceva parte dello Stato Pontificio. La sua era una famiglia di musicisti. Suo padre, soprannominato Vivazza, suonava la tromba per professione ed era un fervente sostenitore della Rivoluzione francese. Sua madre, alla quale Gioachino era molto affezionato, era una cantante. Gioachino Rossini viene considerato come uno dei più famosi musicisti italiani, che riuscirono a rendere celebre la musica e l'opera italiana in tutto il mondo. Rossini morì a Parigi nel 1868. Il 2018 è quindi l'anno dedicato alle celebrazioni del centocinquantesimo anniversario della sua morte.
La sera del 8 novembre dell’anno 1811, infatti, egli venne addirittura arrestato e tradotto con modi assai spicci nei locali della polizia del Regno Italico. I Rossini sentirono battere forte, di sotto, al portone e una voce amica, dall’accento romagnolo, salire da Strada Maggiore: Oh, Giuseppe, ohi, Vivazza (così veniva chiamato Giuseppe Rossini, padre di Gioachino, per l'esuberanza tutta romagnola del carattere), i ha lighé Gioachino, l’hanno appena arrestato. Cosa? Cosa? Gioachino arrestato, in ceppi? Mo perché? Chiese lui affacciandosi prontamente. Ohi, ‘e perché a ne so, il perché non lo so. Ma è là dentro, dagli sbirri. Cos’avrà mai combinato. Era così nervoso dopo Il fiasco dell’ultima opera. Scendo, scendo subito. E poi, rivolto alla moglie: Tu sta’ qui, non ti muovere. Non sarà niente di grave. Corsero subito là dove il giovane maestro al cembalo veniva trattenuto. Ma una guardia sbarrò loro il passo e dovettero, dopo aver protestato, rassegnarsi ad attendere fuori. Era successo che alle prove di quel tardo pomeriggio i coristi si fossero mostrati più svogliati del solito. Gioachino aveva provato a richiamarli, una volta, due volte. Poi era esploso in una raffica di insulti: Vagabondi, scansafatiche, vergognatevi!
Dal palcoscenico erano partite alcune grida di protesta, sempre più alte. Qualcuno, che si sentiva protetto dal nuovo corso politico, l’aveva subito buttata in politica (È un autoritario).
Ma Rossini aveva soverchiato le loro voci urlando esasperato: Se non obbedite alle mie prescrizioni, è la volta che impugno il bastone!
Il bastone? A quel punto i coristi avevano abbandonato il palcoscenico reclamando a gran voce dall’impresario le scuse da parte del maestro. Altrimenti non torniamo a provare. Neanche per sogno. Il bastone ci vuole, lo confermo. Altro che le scuse!
A quel punto, per evitare guai maggiori, era stata chiamata la forza pubblica che, senza tante indagini, aveva preso su di peso Gioachino portandolo al corpo di guardia. Dove aveva comunque ribadito le giuste ragioni della sua severità, del resto ben nota.
Arrestato, arrestato anche lui fu probabilmente il tormento intimo di Vivazza fuori dal portone sbarrato. Ma lui non sa nemmeno cosa voglia dire la galera. È fine, delicato. Soltanto qualche ora più tardi il giovane maestro venne rilasciato dopo essere stato peraltro ammonito acremente e precettato a non permettersi più violente espressioni, e minacce contro chiunque. La direzione del teatro veniva incaricata di sorvegliarne però la condotta e di tenere informato il prefetto Quirini che lo aveva così severamente ripreso. Gioachino uscì dal corpo di guardia visibilmente pallido. Di rabbia repressa piuttosto che di paura. Come si fa a proteggere quegli incapaci, quegli infingardi? Come si fa? A questo servono la prefettura, la polizia? Dovette angustiarsi fra sé e sé. Sta zitto, Gioachino, per carità sta’ zitto adesso, ché se no ti legano un’altra volta gli soffiò forse in un orecchio Vivazza che se lo riportò protettivo in Strada Maggiore con una vettura prontamente fatta arrivare da chi lo aveva accompagnato.
[...]
Nessuno allora poteva immaginarlo, ma, almeno come musicista, come compositore per il teatro, con Bologna e coi bolognesi, Gioachino aveva chiuso. Per molti anni. Stava aspettando il volo per altre piazze meno anguste, meno provinciali: Milano, Venezia, Napoli. Anche se Bologna doveva rimanere ancora a lungo la sua città di elezione, dove risiedevano stabilmente i suoi genitori e dove lui sarebbe rientrato sovente da centri e da teatri lontani nei quali lo portavano sempre nuove scritture. Bologna gli piaceva, corrispondeva con la sua natura cordiale, sotto la quale peraltro covava un autentico temperamento.