La maturità artistica tra religiosità e sperimentazione
Intorno al 1860 gli artisti della generazione di Guardassoni si fecero espressione di quel nuovo ideale sociale (ancor prima che politico) promosso dal nuovo Regno d’Italia. Tutti gli episodi del passato, che rendevano esplicita la voglia di autonomia del popolo italiano, diventarono soggetti affascinanti ed emblematici e i loro protagonisti, o chi ne aveva tramandato la memoria, furono celebrati come eroi. Dante e la rilettura romantica della Divina Commedia (Pia de’ Tolomei di Pietro Montebugnoli) e della Vita Nova (Io mi sedea in parte di Alfonso Savini), al pari di Manzoni, definirono l’identità di un popolo.
Anche Guardassoni dipinse soggetti danteschi: nel 1869 il grande Caronte e nel 1878, sul sipario del Collegio San Luigi, l’incontro di Dante e Virgilio dal I Canto dell’Inferno, di cui si espongono 3 schizzi. Inoltre, continuò a ispirarsi all’episodio a lui più congeniale de I promessi sposi, ovvero alla storia dell’Innominato.
La nuova versione del 1873 de La conversione dell’Innominato, accompagnata da Lucia davanti all’Innominato, da una parte metteva a frutto i risultati della ricerca ormai ultradecennale sugli effetti ottici e la resa del vero, dall’altra si alimentava anche della riflessione - morale oltre che artistica - sviluppata su importanti temi religiosi, quali La partenza di San Paolo da Mileto (di cui in mostra si presenta il bozzetto a monocromo) e Caino dopo l’uccisione di Abele. Guardassoni, particolarmente attivo in ambito sociale, ritenne i dipinti manzoniani particolarmente efficaci dal punto di vista didattico-morale, al punto da replicarli alla metà degli anni Ottanta in piccolo formato per la sede fiorentina dell’allora Istituto Gualandi per sordomuti e sordomute. Le commissioni da parte di enti religiosi, aumentate dalla seconda metà degli anni Sessanta, gli fecero elaborare soggetti devozionali, come l’Immacolata Concezione, il cui dogma era stato proclamato nel 1854, o le rappresentazioni delle estasi di santi e sante, riprendendo antichi modelli degli stessi soggetti; percorso condiviso da altri pittori della stessa generazione, come l’amico Ferrari e l’antico rivale Antonio Muzzi.
Il ricco percorso di Guardassoni lo portò a elaborare uno stile originale: l’ossessiva ricerca della rappresentazione del vero, resa con la pennellata rapida, il disegno dei contorni molto preciso e nello stesso tempo la grande libertà nella resa dei dettagli, lo allontanò dagli ambienti artistici più tradizionali, pur non arrivando ad eguagliare i risultati del realismo più moderno. Per queste ragioni la sua pittura segnò inevitabilmente il passo davanti alle opere della nuova generazione, di rottura nella scelta sia dei temi sociali (nel patetismo di Raffaele Faccioli, Nessun maggior dolore), sia di quelli storici (nella pittura ormai Liberty dell’Irnerio di Luigi Serra), sia nella celebrazione delle glorie letterarie (Le ultime ore di Leopardi, di Faccioli, puntualmente ripreso nel Leopardi morente da Guardassoni, affascinato dall’effetto luministico dell’ambiente).
Gli ultimi dieci anni di attività di Guardassoni furono inevitabilmente segnati da un certo isolamento, che egli colmò continuando a sperimentare l’applicazione delle leggi dell’ottica alla pittura, sia nei dipinti da cavalletto, sia nelle decorazioni di grande formato.
Immagini nella pagina:
A. Guardassoni, La conversione dell’Innominato, 1873 ca., olio su tela, Fondazione Gualandi, Bologna
A. Guardassoni, Bozzetto di Lucia davanti all’Innominato, 1885 ca., olio su tavola, Fondazione Gualandi, Bologna
A. Guardassoni, Caino dopo l’uccisione di Abele, 1870, olio su tela, Fondazione Gualandi, Bologna