Giacomo Leopardi compose la poesia nella primavera del 1819, ricorrono quindi duecento anni dalla nascita di questo sorprendente idillio. Jourdelò partecipa al ricordo con un articolo dedicato ai celebri versi.
Parlare dell’infinito in quindici versi, passare alla storia come noto, amato e stimato poeta, anche tra i giovani, non è certo un’impresa qualunque. Giacomo Leopardi è infatti considerato un geniale poeta e pensatore.
Le sue poesie sono state studiate da tutti noi: Alla luna, La sera del dì di festa, A Silvia, Il sabato del villaggio, La quiete dopo la tempesta, Il passero solitario, La ginestra. E ancora tanto altro.
L’infinito è il canto da celebrare. Prima una breve spiegazione e poi lascio alla lettura del noto testo autografo. La poesia ci accompagna in un viaggio immaginario il quale asseconda il desiderio di infinito, presente in ognuno di noi; ma questo desiderio è in contrasto con il limite posto da tutte le esperienze umane e da qui scaturisce la nostra infelicità. In questi versi, al contrario di molte altre opere di Leopardi, è descritta un’esperienza rasserenante. Infatti il messaggio che troviamo ci dice che l’uomo ha la possibilità di costruire con l’immaginazione quell’infinito che non gli è concesso nella realtà e il poeta conclude raccontandoci la dolcezza del naufragare nell’immensità della natura. Partiamo, allora, per questo viaggio.
Questo colle solitario mi è sempre stato caro, e così anche questa siepe, che per un lungo tratto preclude la vista del panorama fino all’orizzonte. Ma sedendomi e ammirando spazi senza limiti e senza confini, che sono oltre quella stessa siepe, io immagino e costruisco nella mente dei silenzi sovrumani e avverto una quiete talmente profonda che il cuore quasi si spaventa, si smarrisce. Sento il fruscio del vento tra le piante e lo metto a confronto con quell’infinito silenzio; e penso all’eternità, al passato, all’epoca presente e al suo suono. Così il mio pensiero annega in questa immensità e il naufragar m’è dolce in questo mare.
L’idillio è composto da quindici versi; ed è diviso in due parti, quasi tra loro simmetriche. Nei primi versi Leopardi ci descrive sensazioni originate dalla vista: la siepe impedisce di vedere la parte estrema dell’orizzonte; ma è proprio questo ostacolo che fa scattare l’immaginazione di mondi sconfinati. Nella seconda parte (E come il vento…) è una sensazione uditiva a stimolare la fantasia: lo stormire del vento tra le foglie che richiama alla riflessione sull’infinità del tempo.
Nel 1820, un anno dopo la stesura della poesia, nello Zibaldone, lo stesso Giacomo commenta il desiderio di infinito: …in luogo della vista lavora l’immaginazione…, L’anima s’immagina quello che non vede, […] e si figura cose che non potrebbe, se la sua vista si estendesse da per tutto, perché il reale escluderebbe l’immaginario.
Immagini nella pagina:
A. Ferrazzi, Giacomo Leopardi, 1820 ca., Casa Leopardi, Recanati
Monte Tabor, il colle dell’Infinito, Recanati (Macerata)
G. Leopardi, secondo manoscritto autografo, 1819, Archivio Comunale, Visso