La battaglia di Ciro Menotti: da imprenditore a martire per l'Unità d'Italia

Seconda parte: La congiura e il tragico epilogo

di Martina Rignanese

enrico misleySi doveva scendere a patti con il “nemico”. Francesco IV, perorando apparentemente la causa di uno Stato Costituzionale, pregustava in realtà l’estensione massima dei suoi domini all’intera Italia settentrionale. Una larga rete di sommosse lo avrebbe proclamato sovrano unificatore: non restava che attendere anche il prossimo passo falso di Vittorio Emanuele I, mostratosi oscillante verso i moti del 1821.

Gli storici concordano sull’ambiguità di questo piano, sul fatto che Enrico Misley avesse suggerito a Ciro Menotti di scommettere sul Duca sempre stato ostile verso i liberali. L’imprenditore nutriva infatti non pochi sospetti al riguardo nonostante l’alleato di corte possedesse collegamenti sovversivi anche con i francesi. Sussisteva l’inquietante probabilità che, con la Rivoluzione di Luglio, Francesco IV avrebbe potuto allarmare l’Austria.

Ciro, nel 1829, si costrinse ad accettare quell’alleanza pur di mettere in pratica la cospirazione. Nel dicembre del 1830 imperniò il suo programma politico su: indipendenza, unione, libertà, costituzione, Roma capitale e Tricolore. Raccogliendo denaro e armi, coinvolse i ribelli di Modena, Reggio, Parma e Ancona. Nel gennaio del 1831, organizzò gli ultimi dettagli della sollevazione. Tra i suoi combattenti vi erano medici, fabbri, proprietari terrieri, ex ufficiali, ingegneri, artigiani. Persino il suo domestico, Angelo Gibertoni, detto Caleffi, partecipò all’insurrezione.
Arresto di Ciro Menotti
Il 3 febbraio 1831 tutto era pronto per mettere in scena l’agognato piano, ma Menotti scoprì che il Duca aveva fatto arrestare alcuni cospiratori. Bisognava combattere immediatamente e la sera egli radunò cinquantasette ribelli nella sua abitazione in Corso Canalgrande. I Dragoni Estensi piombarono davanti all’edificio circondandolo e ordinando la resa. Ricevettero in risposta fuoco di fucili che costò la morte a quattro militari. Il resto dell’esercito irruppe dentro la dimora arrestando i congiurati che tentavano la fuga.

Menotti cercò di saltare giù dalla finestra del giardino retrostante la casa ma venne ferito ad una spalla e catturato. Il giorno dopo Francesco IV informò la popolazione del pericolo scongiurato e istituì una commissione militare per giudicare sommariamente gli insorti. Dietro il suo doppiogiochismo, vi stava l’intimidatoria direttiva dell’Austria che aveva ordinato di sciogliere l’alleanza con i liberali. Pur di non compromettere la sua già aggravata posizione il Duca aveva obbedito, ma ormai le micce delle ribellione erano state innescate.

Il 5 febbraio scoppiò l’insurrezione a Bologna che portò alla nascita di un governo provvisorio. Francesco IV, sentendosi minacciato e non potendo contare sull’intervento delle forze austriache del Lombardo-Veneto (che temevano a loro volta che l’insurrezione si espandesse nel loro territorio), abbandonò Modena e riparò a Mantova, nella fortezza del Quadrilatero, portando Menotti prigioniero. La fuga del Duca fece sollevare Modena che il 9 febbraio instaurò un altro governo provvisorio. Un gruppo di rivoluzionari liberò novantadue prigionieri politici lasciati in città dal sovrano. Le rivolte e gli altri governi provvisori si estesero a Reggio Emilia e Parma, però sfortunatamente l’ondata delle rivolte si esaurì per il mancato appoggio della Francia di Luigi Filippo. Ancona sarebbe stata l'ultima roccaforte a capitolare.


Immagini nella pagina:
Ritratto di Enrico Misley
Eduardo Matania, Arresto di Ciro Menotti, sec. XIX, Museo del Risorgimento di Modena

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