Egittomanie d’Ottocento: Champollion dai re di Francia ai faraoni di Torino

di Martina Rignanese

Leon Cogniet - Jean-Francois Champollion (Miniatura 219x265 px)Lo stemma sabaudo riluceva più possente che mai. Per Jean-François Champollion non poteva essere una coincidenza se quel toro araldico somigliava all’animale sacro del dio nilotico Hapi. La strada per Menfi e Tebe passa da Torino, si illuminò entusiasta ammirando le insegne regali della Savoiarda Accademia delle Scienze.

Correva l’anno 1824. Re Carlo Felice aveva appena ottenuto la prima grande collezione egizia italiana dopo una trattazione con il compatriota e console Bernardino Drovetti. Quell’immane patrimonio di statue, sarcofagi e papiri richiamava avventure più o meno lecite tipiche dei turbolenti albori egittologici...

Le Piramidi e la Sfinge iniziarono a dialogare con l’Occidente nel Settecento, quando le incisioni e le relazioni di viaggio dei missionari spinsero l’Europa ad esplorare approfonditamente una civiltà più antica e longeva delle polis greche e dell’augusta Roma. Per destare definitivamente i faraoni ci volle Bonaparte, nel 1798, con la missione di sottrarre l’Egitto agli Ottomani e bloccare i traffici inglesi verso l’India. Oltre ai soldati, Napoleone organizzò i savant, studiosi coordinati dallo storico Vivant Denon, incaricati di osservare, disegnare e classificare quanto vedevano.

Ramses II (Miniatura 218x389 px)Fu proprio il resoconto archeologico a trionfare in un’impresa che si rivelò amara. La conquista della piana di Giza segnò un’effimera vittoria dei Francesi che vennero sconfitti nel 1801 dall’ammiraglio Horatio Nelson nello scontro navale ad Alessandria. Nel 1803 uscì, infatti, il vero tesoro di questa campagna: la Description de l’Égypte, che terminerà solo una trentina di anni dopo corredata da 4000 pagine e 600 tavole!

Champollion ne conosceva una delle prime edizioni, quella che lo fece innamorare da fanciullo. Osservando i lunghissimi papiri e le statue della collezione Drovetti, si compiaceva orgoglioso; era arrivato al cospetto di Ramses II il Grande, scolpito nel durissimo granito nero. Poteva corteggiare le belle dame egizie, parlare con gli antichi funzionari perché leggeva i geroglifici! Jacques-Joseph aveva sempre creduto nel suo genio: l’amato fratello maggiore che, in un’infanzia deprimente, gli era diventato guida nella vita e negli studi…

Il signor Jacques Champollion, umile commerciante di libri, si trasferì da Grenoble a Figeac portandosi la famiglia e il vizio dell’alcool. Della consorte Jeanne-Françoise si vociferava che non fosse madre del suo vivace settimogenito, forse frutto di adulterio… Questo bambino, nato nel 1790 in piena Rivoluzione Francese, si legò così a Jacques-Joseph, archeologo autodidatta conosciuto in seguito come Champollion il Vecchio.
Tra il 1802 e il 1804, quando frequentava la scuola dell’abate Dussert, Jean-François (le Jeune) apprese il greco e il latino passando rapidamente alle lingue semitiche come l’etiope, l’arabo, il siriaco e il caldeo. Incoraggiato sia dall’abate che dal fratello, entrambi orientalisti, spasimò da subito per l’antico Egitto.


Immagini nella pagina:
Léon Cogniet, Ritratto di Jean-François Champollion, 1831, Museo del Louvre, Parigi
Statua di Ramesse II, XIX dinastia, Museo Egizio di Torino (foto di Martina Rignanese)

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