Anfossi deve quindi organizzarsi da solo e all’inizio ha incredibilmente un gran successo: pensa di reclutare quattro compagnie, ma sono così tanti i volontari che lo contattano che finisce per crearne otto, che sulla carta sono una forza considerevole. Ma sono gli scarti della selezione che il governo milanese probabilmente ha già fatto… gente senza addestramento, entusiasti che non hanno bene idea di cosa significhi fare la guerra sul serio, persone di dubbia morale e forse solo in cerca di saccheggi e bottino… Inoltre ci sono poche armi, le uniformi (a parte una piccola quantità pagata dallo stesso Anfossi secondo i suoi disegni) in realtà sono minime o inesistenti e ciascuno indossa ciò che ha: mancano spesso parti importanti dell’equipaggiamento. Quando si rovinano, rimpiazzarle è quasi impossibile. La disciplina poi è scarsa e l’addestramento praticamente nullo: la gloriosa immagine di Cacciatore della Morte che si trova sui libri è in realtà un’ombra sbiadita che, forse, non è mai davvero esistita.
Anfossi in realtà si rende conto della situazione deficitaria e chiede spesso aiuto al governo milanese. Ma il Generale Teodoro Lechi, comandante dell’esercito Lombardo, non ha molta fiducia in lui e lo tratta di conseguenza, cercando di farlo partire al più presto per il fronte: forse un modo per toglierselo di torno. Anfossi fa anche qualche timido tentativo di addestrare i suoi uomini mentre si dirigono verso il Veneto, aggregati prima ai Corpi Volontari Lombardi del Generale Michele Allemandi e poi al Corpo di Osservazione del Tirolo del Generale Giacomo Durando. Ma è troppo poco, e troppo in fretta: le marce e la vita militare provocano diserzioni tra i disillusi, mentre la popolazione locale spesso li accusa di saccheggi e requisizioni non autorizzate.
Il rapporto personale tra Anfossi e Durando è poi particolarmente negativo: i due si detestano. Durando forse lo vede come un incapace, a capo di un gruppo di soldati che sono più un problema che una risorsa. Anfossi è invece arrabbiato per il fatto che Durando continua a non considerarlo degnamente e non ne ascolta le richieste. Probabilmente l’unica cosa che “salva” i Cacciatori della Morte agli occhi di Durando è che sono tanti: otto compagnie sono una formazione considerevole e contro gli Austriaci serve ogni uomo. Se solo fossero veri soldati…
La prova del fuoco non si fa attendere. Il 22 maggio 1848 gli Austriaci attaccano le posizioni dei volontari lombardi presso Ponte Caffaro e i Cacciatori della Morte confermano i peggiori timori: posti a difesa di una parte del fronte, molti di loro scappano appena il nemico arriva a tiro. Su otto compagnie, ben sette fuggono, rischiando di mettere a repentaglio l’intero esercito di Durando. Solo il coraggio di altri patrioti evita il peggio, ma è comunque una disfatta e i volontari devono ritirarsi. Non solo: durante le fasi finali della battaglia molti testimoni vedono gli uomini di Anfossi saccheggiare mobili e bauli pieni di oggetti di valore da una villa del luogo, Palazzo Lodron. Accusato da Durando e da altri, il 27 luglio Anfossi stesso viene arrestato per ordine di Lechi e imprigionato a Milano: l’accusa è saccheggio, malversazione dei fondi del suo reparto, incitamento all’insubordinazione. I Cacciatori della Morte, comunque di fatto già sbandati, vengono sciolti. Verrà liberato solo il 7 agosto, quando gli Austriaci rientreranno in città.
La carriera e la reputazione di Anfossi sono ai minimi termini: considerato incapace e disonesto, gli viene negato di poter essere reintegrato nell’esercito sabaudo e, nonostante un ricorso, gli viene negata ogni indennità.
Francesco però non si perde d’animo e scrive un memoriale che descrive tutto quanto accaduto: Memorie sulla campagna di Lombardia del 1848, pubblicato nel 1851. Si trova ancora online e leggerlo è molto interessante perché racconta nel dettaglio cosa significava creare un gruppo di volontari nel 1848: come si reclutavano i volontari, di quante cose c’era bisogno, i rapporti con le istituzioni. Ma è soprattutto una lunghissima excusatio: Anfossi scrive per giustificare tutto quello che è successo e dire sostanzialmente non è colpa mia. Parafrasando: non mi sono appropriato dei fondi richiesti, ne sono arrivati pochi e quello che ho comprato era giustificato. Non mi avete dato fucili ed equipaggiamenti a sufficienza. I miei soldati non erano perfetti, ma erano bravi ragazzi e non delinquenti. A Ponte Caffaro non sono stati codardi, sono stati ingannati dal nemico, ed è solo per questo che si sono ritirati. Ho fatto togliere i mobili e i bauli da Palazzo Lodron per salvarli da un incendio, non per rubarli. E soprattutto: la colpa principale è di Durando, che ha sempre provato a scaricare su di me i suoi errori.
Immagini nella pagina:
F. Anfossi (?), bozzetto per le divise dei Cacciatori della Morte, da lui ideate
Foto del Generale Giacomo Durando