Don Nicola era un benestante. Taciturno, dal contegno serio e occasionalmente gioviale, non amava le polemiche politiche né le militanze. Dopo il matrimonio risalente a sei anni prima, suoi interessi primari erano un buon inserimento nell’ambiente grumese e un’accurata attenzione alle lavorazioni delle sue proprietà terriere.
Donna Aurora, più giovane del marito di sette anni, proveniva da una nota casata grumese politicamente e culturalmente attiva. Tra i loro parenti più stretti emergeva don Giovanni Scippa, giovane ufficiale dimessosi dall’esercito borbonico. Anima fervida di patriota e convinto proselito delle libertà illuministiche, iscritto alla Vendita Carbonara Bruto secondo di Grumo, lo Scippa, quale capitano di una compagnia di legionari volontari, aveva partecipato ai moti del 1820, combattendo nel 1821 nella battaglia di Rieti. Perseguitato dalla polizia borbonica, anche per l’appoggio dato a Giuseppe Silvati e Michele Morelli, che in casa Scippa a Grumo trovarono rifugio, prima del loro arresto e della successiva condanna a morte, Giovanni Scippa subì una condanna al confino in quel di Altamura, a un paio di decine di chilometri da Grumo.
Il giovane Filippo Minutilli aveva conosciuto personalmente lo Scippa all’epoca degli accadimenti del 1821. A lui si era legato per ammirazione e affetto e da lui aveva ereditato i sentimenti liberali. Un sentire del figlio che turbò la tranquillità del padre, tanto da far nascere in don Nicola l’ostinazione di trasferirsi a Napoli con tutta la famiglia e non fare più ritorno a Grumo, pur di sradicare il ragazzo da quell’ambiente. Il progetto non tardò a realizzarsi. Preso alloggio nella capitale del regno, don Nicola iscrisse il figlio al Real Collegio Militare della Nunziatella, prima, e poi alla Scuola di Applicazione di Ponti e Strade (progenitrice delle attuali facoltà universitarie di Ingegneria), dove eccelse negli studi di matematica, topografia, architettura militare e civile. Alla conclusione del corso, ottenne la laurea in Architettura civile.
La carriera militare di Filippo continuò nell’Esercito del Regno delle Due Sicilie, nei cui ranghi conseguì il brevetto di Alfiere (allievo ufficiale) nell’Arma del Genio. Promosso tenente per superamento degli esami d’idoneità, fu destinato a Messina, con l’incarico di dirigere i restauri alla fortezza della Real Cittadella, innalzata a protezione del porto. Promosso capitano, Filippo Minutilli conobbe Maria Antonietta Pirrone, figlia di un suo ufficiale superiore, e la sposò. Dal loro matrimonio nacquero i figli Adelina, la primogenita, Federico ed Elvira.
Iscrittosi alla Giovine Italia, il Minutilli confidò a sua moglie e a pochi amici intimi le sue convinzioni di assertore della concezione unitaria mazziniana. Allo scoppio della rivoluzione antiborbonica e separatista in Sicilia durante le giornate del Quarantotto, Minutilli manifestò apertamente le proprie inclinazioni liberali. Schierandosi con gli insorti, partecipò attivamente alla sommossa di Messina e impedì l’utilizzo delle artiglierie del forte contro i rivoltosi. Durante la rivolta seppe tenere la fortezza di Messina per più di un anno e per il suo patriottismo e le riconosciute capacità militari il Governo rivoluzionario siciliano lo elevò al grado di Maggiore, con l’incarico di Direttore Generale del Genio delle Truppe Nazionali di Sicilia. Dal settembre del 1848 fu al comando del Battaglione Zappatori del Genio delle truppe nazionali siciliane.
Immagini nella pagina:
La città di Messina nel XVIII sec. con in primo piano la Real Cittadella.
Messina 1848, scontri tra i regi borbonici e gli insorti (tratto da C. A. Vecchi La Italia: storia di 2 anni 1848-49 p. 222).