Il periodo era instabile anche per altri motivi, in realtà: gli stati confinanti detestavano la forte egemonia spagnola piazzata al centro dell’Europa, nuovi fronti di guerra si aprivano ai bordi dell’Impero, la gestione delle colonie americane era complicata con un oceano di mezzo. Ma parlare di questo ci porterebbe verso altri argomenti.
La Corona spagnola uscì fracassata dalla Guerra degli ottant’anni: nel 1648 si ritirò sconfitta, cedendo definitivamente ad altre mani i domini dell’Europa centrale. I fiamminghi, ottenuta l’indipendenza, si organizzarono nella Repubblica delle Sette Province Unite che presto si separò su base religiosa in quelli che oggi sono pressappoco Paesi Bassi e Belgio.
I fiamminghi, per l’appunto: furono la causa scatenante della bruciante disfatta asburgica. Gli iberici dovevano detestarli parecchio, dato che nella penisola si convertirono in emblema di disubbidienza e indisciplina. Il termine flamenco, che in origine significava “fiammingo”, cioè abitante delle Fiandre, entrò nella lingua dell’epoca per indicare chi è ribelle, turbolento e poco incline al rispetto della legge. Lo spagnolo colloquiale moderno conserva in espressioni come “ponerse flamenco” il significato di aggressivo, insolente.
Ma in Spagna c’era un popolo cui questo attributo si attagliava più che a ogni altro: veniva dalla Valle dell’Indo, nel Pakistan odierno, vivendo in modo turbolento ai margini della società. Erano i romanì, che nella loro migrazione verso Occidente si erano frammentati in diversi rami europei per approdare in Andalusia attraverso l’Egitto. Erano e sono ancora oggi chiamati gitani, dal latino aegyptanus, termine che ha coniato anche l’inglese gypsy.
Per la verità, non tutti i flamencos erano anche gitani, ma questi ultimi lo erano di sicuro. C’erano anche ladri, toreri, macellai, braccianti, contrabbandieri e un’ampia varietà di sottoproletari accumunati da emarginazione e passioni forti travasate nel canto e nella danza che hanno preso il nome dal carattere ribelle e flamenco del popolo eterogeneo che li aveva inventati.
In spagnolo, quindi, il nostro “fiammeggiante” trampoliere non ha etimologia comune con la danza passionale che tradisce il ricordo delle Fiandre. Le due accezioni del sostantivo flamenco sono invece un caso di omonimia, che è tanto più curioso quanto più si nota che i fenicotteri si muovono nei loro stagni salati marcando bene piccoli passi, alzano le zampe in posa plastica e ruotano su se stessi e uno attorno all’altro come sapessero che proprio così si muovono i ballerini andalusi. E viene da chiedersi come si chiamerebbe oggi la danza di questi ultimi se Filippo d'Asburgo, oltre che di nome, fosse stato prudente anche di fatto.