Inoltre, sull’onda delle idee innovatrici di Mazzini il concetto di soldato per l’appunto al “soldo” del signore di turno venne sostituito dal concetto della difesa dello Stato, inteso come Società e quindi anche per se stessi. Questa nuova visione comprendeva anche le donne, tanto è che da più parti si cominciò addirittura a chiedere la formazione di Corpi Armati femminili.
Ma poi si risolse in un nulla di fatto e le vivandiere rimasero ancora per decenni le uniche donne autorizzate a seguire le operazioni belliche, distinguendosi peraltro in battaglie sanguinose fra cui la carneficina di Solferino e San Martino nel 1859. Toccante è il ricordo di Adeodata Friggeri, già al seguito di Garibaldi nella Repubblica Romana. Vivandiera nell’esercito piemontese insieme al marito artigliere, aveva combattuto nel 1854 in Crimea, dove il marito era stato dato per disperso e proprio a Solferino, cinque anni dopo, ferita alle gambe ed in attesa di soccorsi, ritrovò il marito anch’egli ferito. Ormai vecchi e coperti di cicatrici tornarono nella loro casa di Perugia chiedendo nelle loro ultime volontà di essere sepolti in camicia rossa.
Resta però innegabile che, a partire dai moti del 1848, la partecipazione femminile divenne più consistente, così come nella breve vita della Repubblica Romana del 1849, dove ben 6 donne furono fra i caduti nei combattimenti.
A fronte quindi di un numero limitato negli eserciti di vivandiere regolamentate, si aggiunsero, in numero ben maggiore, donne volontarie con funzioni di infermiere o patriote combattenti e alcune avrebbero pagato molto caro la loro fede negli ideali come Luigia Poli, caduta a Bologna combattendo contro gli austriaci o, nello stesso periodo a Roma, la ventiduenne Colomba Antonietti colpita mortalmente mentre, in divisa da bersagliere, stava scavando un fossato di difesa. Non aveva voluto lasciare il giovane marito, il tenente Luigi Porzi, arruolandosi anch’ella nei bersaglieri. Sarà padre Ugo Bassi ad officiarne le esequie e lo stesso Garibaldi la ricorderà nelle sue memorie.
E furono proprio i Corpi Volontari garibaldini ad avere il maggior numero di presenze femminili. Non è raro imbattersi in immagini di garibaldini comprendenti donne anch’esse in camicia rossa ed armate. Donne fra l’altro che avevano partecipato a più campagne militari come Jessie White Mario, la ferrarese Rosa Angelini o la bolognese Anna Grassetti Zanardi per citarne alcune.
Nel 1864 lo Stato italiano ufficialmente dismise la funzione di vivandiera, ma a sorpresa è sempre nei Corpi Volontari garibaldini della Terza Guerra d’Indipendenza del 1866 che ritroviamo donne in abiti militari e funzioni miste di vivandiere, infermiere e combattenti a riprova della saldezza degli ideali e del coraggio di queste indomite donne.
Quinto Cenni, pittore ed illustratore di origine imolese formatosi all’Accademia di Belle Arti di Bologna, ci ha lasciato un numero considerevole di schizzi delle uniformi del periodo risorgimentale e non solo, divenuti un punto cardinale per gli appassionati di uniformologia e rievocatori. Ed è in una sua tavola riferita al Corpo Volontari garibaldini del 1866 che si trova lo schizzo di una vivandiera, un figurino di una grazia ed eleganza da fare invidia ai più famosi e talentuosi stilisti.
Immagini nella pagina:
Vivandiera in divisa garibaldina, foto conservata presso il Museo civico del Risorgimento di Fidenza.
Corpo Volontari al comando di Giuseppe Garibaldi, Regno d’Italia, 1866, Quaderni di Quinto Cenni (a destra immagine di vivandiera).