A polite lady

L’educazione inglese fra Settecento e Ottocento

di Chiara Albonico

1810 Fashion plate (Miniatura 492x688 px)Perché voi, figlie di Britannia, siete così insensibili alle più fulgide glorie del vostro sesso? Per quanto tempo ancora la vostra ambizione sarà ostentare la moda francese, o svolazzare in giro con la leggerezza di quel popolo capriccioso? Quando sarete contente della semplice eleganza e della graziosa pudicizia così appropriate a una nazione come questa, sostenuta dal commercio, resa elegante dal buon gusto e illuminata dalla vera religione?

Così tuonava James Fordyce nei suoi Sermons to Young Women dati alle stampe a Londra nel 1766: uno spiraglio su ciò che si poteva considerare, fra il Settecento e i primi dell’Ottocento, un comportamento femminile tipicamente inglese. L’autore nelle premesse ai suoi Sermons, pubblicati in due tomi, rivela che è stato spinto alla loro scrittura dal suo sincero riguardo per il sesso femminile. Nonostante le poche voci di dissenso e le sfumature di differenza fra la vita di campagna e le abitudini cittadine, le donne inglesi vissute fra la Rivoluzione Francese e l’epoca della Reggenza (1811-1820) avevano poche possibilità di sottrarsi ad un gioco tanto più rigido quanto più accettato, condiviso e promosso, pena il biasimo sociale.
Akermann repository of arts 1824 (Miniatura 219x409 px)La pubblicazione di una quantità di manuali di buona educazione, alcuni dei quali a firma femminile, come le Strictures on the Modern System of Female Education dato alle stampe nel 1799 da Hannah More, ne sono la riprova.

Si potrebbe pensare che ciò che vale per le signorine d’alta società inglesi potesse valere anche per le giovani nobili degli altri paesi, in un’epoca in cui il bon ton era costituito da principi e regole condivise nelle corti di buona parte d’Europa. È vero solo in parte: perché diverse, nel caso dell’Inghilterra – non della Gran Bretagna, gli altri stati britannici si sono dovuti adattare – erano le premesse.

Vediamone i punti essenziali. Era innanzitutto fondamentale differenziarsi dai francesi, eterni nemici, ai quali veniva rimproverato di essere cattolici, papisti, sostenitori di un potere assoluto e al contempo frivoli, vanesi, incapaci di contenere il potere che le donne di corte avevano assunto in modo sempre più evidente. Questo potere, talvolta sfacciato e finanche pericoloso, era cresciuto nei decenni fino a diventare imbarazzante sotto Luigi XV, quando le varie favorite erano arrivate a gestire parte della politica di uno Stato che aveva finito per crollare sotto il suo stesso peso.

Pur riconoscendo ai francesi, a malincuore, la qualità della conversazione, l’eleganza dei salotti, la bontà del cibo, l’inarrivabile prestigio delle manifatture e delle sartorie, gli inglesi erano convinti d’essere la società destinata per natura a governare il mondo. Autoproclamatasi la migliore, la nobiltà inglese doveva essere capace di unire le virtù sociali che un’ottima educazione doveva plasmare – cortesia, socievolezza, decoro… - alle virtù proprie della natura inglese – semplicità, schiettezza, riserbo, onestà. Il tutto basato su una struttura solida che faceva capo a virtù come il coraggio e l’audacia: caratteristiche proprie delle popolazioni antiche e in particolare dei romani di cui, con qualche iperbole storica e fino ad un mutamento che vedremo più avanti, gli inglesi si sentivano moralmente eredi. Ivi comprese le tendenze imperialistiche.


Immagini nella pagina:
Figurini di moda (fashion plate), 1810.
Abito 1824 (dal deposito Ackermann).

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