L’opera di Verdi può dividersi in tre periodi: il primo si conclude verso il 1865, il secondo verso il 1880 e il terzo con Falstaff.
Ora, verso il 1860, c’era a Parigi un teatro italiano in cui Rossini era Dio, Donizetti profeta, Bellini diacono, Verdi, ultimo arrivato, sacerdote ancora molto discusso da puri dilettanti! Lo si accusava di brutalità e persino di volgarità. Prendeva il suo pubblico di petto e senza i tanti complimenti dei suoi predecessori! Ma tutto ciò si appianò, e, trombe al vento, Il Trovatore entrò risolutamente all’Opéra come in un paese conquistato.
E’ dopo questa ripresa, successiva all’esperienza de I Vespri siciliani, che Verdi meditò di scrivere proprio per la scena francese e il suo sforzo produsse Don Carlos.
Lavorando per l’Opéra, il Maestro scrisse diversamente. Desideroso di raggiungere un obiettivo nuovo per lui, il suo talento si affinò, il ruolo dell’orchestra gli apparve più ampio e Aida divenne la magnifica fioritura delle sue idee di allora.
Fu verso il 1885 che ebbi l’onore di avvicinarlo per la prima volta presso un critico musicale famoso: annunciarono Verdi. A quell’epoca aveva settantadue anni; era un vecchio solido, tarchiato, dallo sguardo ardente, che parlava in francese con qualche difficoltà e un forte accento.
Il padrone di casa si alzò, mi presentò e fece accomodare il suo ospite accanto a lui. Incominciò una conversazione calorosa e fitta fra di loro. A quel tempo, Verdi si occupava molto di Otello che divenne l’argomento principale di quella conversazione. Poi il padrone di casa fece notare che Il Trovatore, Rigoletto, La Traviata, ecc… continuavano ad essere ben accolti in tutti i teatri. Verdi replicò, con un sorriso alquanto sdegnoso: Ah, né mé parlez plou dé ces vieux flonflons.
(…)
In seguito ad impegni presi, Otello doveva essere rappresentato per la prima volta in Italia, nonostante gli sforzi del direttore dell’Opéra del tempo che non voleva lasciar partire Verdi senza ottenere da lui la promessa di un’opera.
Sembrava sfuggire.
Gli avevano parlato di diversi soggetti che aveva scartato dalle prime parole e si era sul punto di tornare con le pive nel sacco da quest’impresa, quando Verdi decise un giorno di venire all’Opéra ad ascoltare la lettura di un poema di cui gli avevano vantato l’attrattiva.
Il Maestro ascoltò senza proferir verbo; quando la lettura fu terminata, mentre si aspettava una sua parola con vera ansia: - E il dramma, il dramma, il dramma – ripeté tre volte – dov’è?
Fu invano che gli si vantò il pittoresco di alcune scene, la finezza di alcune altre: Il dramma, ripeteva continuamente, il dramma non c’è.
Questo libretto fu affidato ad un compositore francese di grande valore e fu rappresentato con un certo successo dovuto alla fama del compositore, ma il pubblico cercava il dramma e, come Verdi, non lo trovò.
Verdi apparve per l’ultima volta all’Opéra la sera in cui M. Casimir-Périer, presidente della Repubblica, lo insignì nel suo palco della Gran Croce della Legion d’Onore, durante una rappresentazione de Otello. Il Maestro fu acclamato dall’intero teatro; poi scomparve e riapparve poco dopo indossando la larga fascia rossa.
Quella serata indimenticabile fu per Verdi come l’apoteosi concessa al suo genio dal nostro paese. L’atmosfera era unica. Mai rappresentazione all’Opéra fu più ardente e più bella. Artisti, coristi, strumentisti nel compiere il proprio dovere mettevano un calore, una vivacità insoliti, e in quest’atmosfera d’entusiasmo, sarebbe stato impossibile – e del tutto inutile – cercare il valore esatto della partitura che si acclamava. Si seguiva il movimento, felici di offrire la propria ammirazione al Maestro che si festeggiava in modo così magnifico.