Fu Giuseppe Antonio Borgese, nel 1910, a definire crepuscolare un genere di poesia un po’ a margine rispetto al fulgore della grande tradizione ottocentesca.
Nel crepuscolarismo predomina una certa stanchezza del vivere oltre che l’incapacità di inserirsi nel ritmo della normale esistenza e, di conseguenza, la difficoltà ad istituire un rapporto armonioso col mondo. Ciò determina il bisogno di evadere dal ristretto ambito quotidiano verso il libero mondo dell’immaginazione.
Nella poesia crepuscolare si ritrovano alcuni temi ricorrenti: vecchie ville addormentate in giardini venerandi e dalle cui stanze buie emanano aromi di cotogna, di muffa, di campestre, luci smorzate di tramonti, colori delicati, sentimenti garbati espressi con un romanticismo placido e pudibondo. Si respirano in questi versi le atmosfere casalinghe della media e piccola borghesia di provincia nelle sue tradizioni domestiche e nei suoi riti sociali in cui trionfano i buoni sentimenti.
Tutti questi temi si compongono in un linguaggio che si contrappone volutamente all’estetismo e all’esuberanza verbale di un D’Annunzio e che predilige il vocabolo dimesso, la cadenza apparentemente trasandata, l’intonazione del ritmo quasi popolare.
Fra tutti i poeti crepuscolari emerge Guido Gozzano, il quale stempera questa nostalgia del passato assumendo l’atteggiamento scettico di colui che contempla quel mondo con un sorriso distaccato e talvolta amaro. La nostalgia in lui si colora di ironia che sfuma nella tristezza e nel rimpianto, poiché il poeta è pienamente consapevole di non appartenervi e di non potervi aderire.
(da La Signorina Felicita)
Il suo è pertanto un difficile equilibrio fra rievocazione nostalgica e distacco, fra tenerezza ed ironia.
Per esprimere il proprio mondo, Gozzano utilizza uno stile umile in cui predominano parole di uso quotidiano, creando in questo modo ritmi scorrevoli e quasi cantabili. Tuttavia un gusto sicuro e aristocratico riveste di delicatezza l’apparente semplicità della forma. Nella sua poesia infatti non si coglie mai una parola che disturbi, un’immagine che infastidisca, una nota stonata o una similitudine di cattivo gusto.