È in questa fase che entrano in gioco alcuni dei protagonisti della pittura bolognese dell’Ottocento, figure considerate spesso d’Accademia nell’accezione più pedante che si possa dare a questo termine e perciò, non del tutto meritatamente, abbandonati a loro stessi nel panorama degli studi sull’arte italiana di quel periodo. I riscatti, nel mondo dell’arte, coinvolgono spesso anche figure che non ne sono proprio degne ma che hanno avuto, per mille motivi, la buona sorte di sopravvivere al tempo e alle dimenticanze. Perciò, consapevole delle virtù e dei limiti degli artisti che andrò a citare, ve li presenterò come volenterosi artigiani del buon gusto.
Il panorama artistico bolognese della metà dell’Ottocento era ricco di figure che in qualche modo si ispiravano al vero, alla realtà della natura, ma spesso discutevano fra loro se la natura, i paesaggi, le persone, insomma i dipinti che ritraevano questo vero dovessero essere ricchi, o sprovvisti, di richiami alla morale. Esattamente come succede in letteratura, la domanda era la stessa: posso raccontare un aneddoto, un fatto, un momento vissuto senza che abbia una morale di fondo? Di fatto, per il periodo storico che si stava vivendo, questo tipo di dibattito era più che altro una spia della fatica patita da questi pittori nell’abbandonare definitivamente il passato, quella vecchia tentazione che l’arte ha avuto molto spesso di drizzare la natura. In realtà, temo, questa caparbietà nel voler dipingere una natura non del tutto reale ma rendendola più bella, più a modo, più pulita, era più che altro spia della scarsa capacità dei nostri pittori di vedere e ritrarre la natura così com’è nelle sue imperfezioni, nei suoi cambiamenti repentini, nell’asimmetria, nella sua imprevedibilità, che era la ricerca che stavano per avviare gli Impressionisti a Parigi o i Macchiaioli in Toscana. I pittori più quotati degli anni Cinquanta dell’Ottocento a Bologna erano Muzzi, Ferrari, Besteghi e Serrazanetti. I paesaggisti invece tutti nomi che a noi oggi dicono davvero poco. Questi artisti negli anni Cinquanta avevano rappresentato l’avanguardia ma già negli anni Sessanta si rivelarono incapaci di cogliere i segni dei tempi nuovi e così scivolarono di nuovo nell’accademismo centrato quasi esclusivamente sulla cosiddetta pittura di storia. Ovvero, ancora una volta, quadri con episodi che avessero una morale.
Immagine nella pagina:
L. Busi, La Letteratura, bozzetto