Nel novembre 1958 il produttore Goffredo Lombardo, patron della Titanus, acquistò i diritti del romanzo. La regia del progetto cinematografico, dopo rinunce ed estromissioni di altri registi quali Mario Soldati e Ettore Giannini, alla fine del 1960 viene affidata a Luchino Visconti, reduce dal primo, autentico successo di pubblico della sua carriera di regista cinematografico: Rocco e i suoi fratelli, anch’esso prodotto e distribuito dalla Titanus. Oltre che dalla lettura del romanzo, Visconti era rimasto colpito anche dalla visione di un documentario televisivo di Ugo Gregoretti, La Sicilia del Gattopardo (1960), girato proprio nei luoghi di Giuseppe Tomasi di Lampedusa e di Don Fabrizio Salina. Così si espresse il regista sulla propria visione del romanzo:
Nel Gattopardo si racconta la storia di un contratto matrimoniale. La bellezza di Angelica data in pasto alla voracità di Tancredi. Ma Angelica non è soltanto bella; ella sa bene di che pasta è fatto un tale contratto di matrimonio, e l’accetta, anche se quello che a prima vista sembra dominare è soltanto un purissimo sentimento d’amore. E anche Tancredi non è soltanto cinico e vorace: riverberano in lui, già all’inizio della deformazione e della corruzione, quei lumi di civiltà, di nobiltà e di virilità che l’immobilità feudale ha cristallizzato e cicatrizzato senza speranza di futuro nella persona del principe Fabrizio. Dietro il contratto matrimoniale di Angelica e Tancredi si aprono altre prospettive: quella dello Stato Piemontese, che nella persona di Chevalley viene quasi a far da notaio e a mettere il sigillo al contratto; quella della nuova borghesia terriera, che nella persona di don Calogero Sedara richiama il duplice conflitto dei sentimenti e degli interessi quale Verga lo delineò in modo memorabile in Mastro Don Gesualdo, ch’io considero il più autentico progenitore del sindaco di Donnafugata; quello dei contadini, oscuri protagonisti subalterni e quasi senza volto, ma non per tanto meno presenti; quella della sopravvivenza contaminata, anacronistica, ma cionondimeno ancora operante, delle strutture e del fasto feudali, colti a mezzo tra la stagione della loro inarrestabile decadenza e l’intromissione nel loro tessuto di corpi estranei (don Calogero, gli ufficiali piemontesi, gli stessi garibaldini) che, ieri respinti, vengono oggi sopportati e assimilati.
Di questa impostazione del romanzo di Lampedusa non abbiamo sottaciuto un solo momento o aspetto o dialogo decisivo; in più abbiamo dato corpo ad alcuni motivi che nel romanzo sono presenti in accenni informativi. Prima di tutto la rivoluzione palermitana, le battaglie garibaldine, il linciaggio degli sbirri borbonici: tutto questo era necessario per spiegare la potenza dirompente della congiuntura storica e il rischio reale che Tancredi accetta di correre, per inseguire il suo deliberato disegno di essere alla testa dei fatti per dominare i fatti stessi.