Il primo è legato al mio zio, il patriarca, il vero capofamiglia, il mio caro babbo mi perdonerà. Ecco, lo zio davanti alla brace dove si arrostiva la carne cantava per me bambina… La Canzone del Piave. La conoscerete senz’altro, è una delle canzoni patriottiche più conosciute e fu scritta nel 1918. Per lo zio Cichino, ragazzo del ’99, gli echi dell’800 non erano lontani, così come gli avvenimenti vissuti nella giovinezza; infatti i fatti storici cui la canzone è ispirata risalgono alla Prima Guerra Mondiale alla quale aveva partecipato.
Il testo si riferisce in particolare al giugno del 1918, quando l’Austria-Ungheria decise di sferrare un grande attacco sul fronte italiano del Piave.
L’altro ricordo è ancora più legato all’Ottocento. A Ragone vigeva la consuetudine di festeggiare l’anniversario della Repubblica Romana, la piccola repubblica nata nel contesto dei grandi moti del 1848 che coinvolsero tutta l’Europa. Nacque nei territori dello Stato Pontificio a seguito di una rivolta liberale e, proclamata il 9 febbraio 1849, fu governata da un triumvirato composto da Carlo Armellini, Giuseppe Mazzini ed Aurelio Saffi.
Quel giorno dell’anno il fermento era palpabile, non si soffriva il freddo, la mia tristezza era accantonata, disciolta nell’agitazione che c’era intorno a me e appannata dall’attesa dell’occasione di gioia da vivere insieme a gran parte dei compaesani.
La zia azdora che viveva con noi, o, meglio, la severissima e animosa capocuoca, e tutta la famiglia erano impegnate a preparare il cibo da portare la sera al circolo repubblicano. Lì si festeggiava l’anniversario con la tradizionale zena de scartoz (cena del cartoccio). Purtroppo non conosco l’origine di questa definizione e i miei tentativi di approfondire sono stati vani; in effetti, sembra che il festeggiamento avvenisse solo in una piccola parte di Romagna.
Torniamo al mio ricordo, quello che mi riscalda: è buio, tutto è ricoperto di neve, abbiamo già portato al circolo le sedie, forse anche un tavolo. Ora dal carretto di legno dipinto di grigio si sprigiona profumo di pollo, rosmarino, coniglio arrosto, io cammino a fianco del mio babbo e ho l’acquolina in bocca, sta ancora nevicando, i suoni sono ovattati e mentre percorriamo la stre vecia, la strada vecchia, mi giro e vedo delle lucette splendenti che delineano una bell’edera verde, simbolo dei Repubblicani, appesa alla casa dove si trova il negozio d’alimentari.
Il ricordo continua ancora legato agli odori, quelli della sala del circolo dove si cenava: il sigaro, il legno di tavoli bruciacchiati dalle sigarette dei giocatori di carte, la stufa a legna al centro della camera, il buon cibo e il profumo della festa. Rivedo ancora me bambina passare da un tavolo all’altro per assaggiare l’erba dei vicini che, si sa, è sempre la più verde.
Nostalgia d’atmosfere, ma è tempo di tornare ai giorni nostri, per ricordare a me stessa e a chi legge che non sono Matusalemme! ...e voglio chiudere aggiungendo che, qualche anno fa, ho ricevuto una telefonata da conoscenti in Romagna che invitavamo me e mia sorella a cena per festeggiare... il 9 febbraio. Eh, gente dura i Romagnoli!
Con il patrocinio del Comune di Bologna