Nel 1874 apparve a Bologna un manualetto intitolato La Cuciniera Bolognese con un lungo sottotitolo che ne indicava l’uso: Modo semplice e facile di cucinare ogni sorta di vivande e delle diverse salse tirate ad uso italiano. Si trattava di una seconda edizione, essendo la prima apparsa nel 1857 (con un titolo leggermente diverso). La longevità di questo libretto ci fa capire che ebbe un notevole successo. Proprio in quel periodo d’altronde, si assiste a un proliferare di ricettari del genere che rivolgono la loro attenzione alle esigenze delle case borghesi e non ai professionisti che operano nelle case nobiliari. Indirizzati alle famiglie e, per il loro tramite, alla servitù, questi libretti si presentano in una veste modesta. Hanno l’apparenza di veri e propri quadernetti il cui posto è in cucina, perciò possono essere macchiati, rovinati dall’uso quotidiano e buttati via senza rimorso quando sono ormai inutilizzabili. Queste caratteristiche li rendono oggi preziosi, poiché rari, sul mercato del collezionismo.
Ne La Cuciniera Bolognese compaiono ancora alcuni termini francesi italianizzati (majones, fricassé, gratino), ma si trovano anche alcune ricette tipiche di Bologna. Non certo le più caratteristiche ai nostri occhi, come i tortellini o le tagliatelle al ragù, probabilmente perché si dà per scontato che tutti sappiano prepararle. Compaiono invece le crescentine e le sfrappole, cibi comuni ma non di uso quotidiano. Diversamente da tutti i ricettarsi simili apparsi un po’ ovunque in Italia a quell’epoca, questo si distingue per un paragrafo innovativo sull’uso degli avanzi a cui l’autore dedica ben otto pagine. Le vivande avanzate servono ancora per formare delle pietanze (…) le quali composte a regola d’arte riescono oltremodo grate e saporite, a modo che non è possibile il riconoscere che queste sieno formate con vivande avanzate, tanto si cambiano affatto di forma e sapore. Fra le varie proposte che vanno dalle carni comuni alla selvaggina e al pesce, interessante e semplice è quella degli avanzi di pollo che si possono tagliare in tanti piccoli pezzi e intingerli in una pastella di frittura fatta con uova e pane grattato, poscia friggerli.
Se questo paragrafo sugli avanzi è generalmente considerato innovativo dagli storici dell’alimentazione, così come il fatto che il libretto si rivolga alle donne (poiché in genere destinatario di questi testi è il padrone di casa), a noi moderni che abbiamo smarrito il senso delle stagioni con le loro varietà ortofrutticole, pare oltremodo interessante l’apertura stessa del ricettario con l’elenco delle produzioni delle quattro stagioni dell’anno, suddivise in carni, pesci, erbaggi e frutti. Così scopriamo cosa mangiavano i bolognesi nel corso di un intero anno. Fra le carni, accanto alle quaglie consigliate solo a primavera, all’agnello solo fino a giugno, stupisce trovare Porchetti d’India, Rondoni da nido in estate, o Sangue di pollo in primavera (l’anonimo autore ci spiegherà più avanti che col sangue di pollo si fanno dei bodini buonissimi [ovvero: sanguinacci]). Fra gli ortaggi e la frutta predominano le qualità locali, anche se con qualche eccezione esotica come gli ananassi consigliati in estate. E mentre a primavera i frutti raccomandati sono solo tre (mandorline, fragole, ciliegie), si rimane colpiti dall’elenco della frutta estiva che comprende diverse qualità di pesche, di pere e di prugne e da quello autunnale in cui abbondano le varietà di mele. Fra le verdure compaiono i pomi d’oro non ancora utilizzati per condire la pasta (e tanto meno il ragù come attesta la descrizione dell’Artusi), ma consumati crudi nelle insalate, oppure farciti e fritti come suggerisce il grande cuoco Vincenzo Corrado nell’edizione del 1819 del suo Cuoco Galante. Accanto alle patate chiamate pomi di terra alla francese, appaiono vari tipi di insalate ed erbe (salvia, borragine, rucola, menta, acetosa, cerfoglio, ecc…) utili per gli aceti odorosi, oltre che una certa quantità di cavoli (fra cui quelli di Tolè) che andranno a comporre le zuppe.
Immagine nella pagina:
Anonimo Bolognese, Borgo San Marino, XIX secolo