Già nell'Ottocento la Bella Società Riformata, nome ufficiale di quell'associazione a delinquere meglio nota come Camorra (in dialetto napoletano il termine camorra indica propriamente la tangente e più in generale qualsiasi atto di sopraffazione), schiacciava la città di Napoli sotto il suo sanguinario e feroce tallone. Non è dato sapere come e quando sia nata la Camorra, si pensa intorno al XVI secolo, è certo comunque che nell'Ottocento raggiunse una delle punte massime del suo potere. Tollerata e perfino appoggiata dai Borboni, in particolare da Ferdinando I, il Re Lazzarone, accrebbe ancora di più il proprio potere nei primi anni dell’Unità d’Italia, in seguito ad alcune particolari circostanze.
Al momento del tracollo del regime Borbonico, Don Liborio Romano, ultimo Ministro di Polizia del Regno delle Due Sicilie, si trovò a dover fare fronte al difficile compito di garantire l’ordine pubblico a Napoli, nell’attesa dell’arrivo di Garibaldi: ma come fare?
L’Esercito Borbonico si era squagliato o era in ritirata verso Gaeta, i garibaldini erano ancora lontani, i gendarmi Borbonici si erano defilati nel timore delle più che certe rappresaglie dei lazzari, alla plebe napoletana non restava che un’unica organizzazione integra e funzionante in città: la Camorra, appunto!
E al Romano, ’on Libbò, com’era comunemente chiamato, non restò che rivolgersi ad essa; in effetti, bisogna ammettere, i camorristi fecero un bel lavoro: sotto la guida del loro capintesta, Salvatore De Crescenzo, detto Tore e’Criscienzo, tennero sotto controllo la situazione, tant’è che quando Garibaldi entrò a Napoli, la città era in perfetto ordine. Inutile dire che la Camorra passò poi all’incasso, ottenendo vari favori dal riconoscente Don Liborio.
I nuovi amministratori del neonato Regno d’Italia, però, si dimostrarono molto meno accondiscendenti dei loro predecessori nei confronti della Bella Società e iniziarono immediatamente la lotta per sconfiggerla. Nel 1862 il nuovo Questore Carlo Aveta, approfittando dello stato d’assedio proclamato nel Meridione d’Italia per combattere il brigantaggio, decise di sfruttare le leggi speciali per lanciare una pesante offensiva contro la Camorra. Tuttavia il compito appariva quanto mai arduo: elementi di prova contro i malviventi non ve ne erano e l’omertà regnava sovrana nei quartieri popolari di Napoli. Alcune zone della città, in particolare, erano sotto l’assoluto controllo dei criminali; tra queste spiccava il Ponte della Maddalena. Sede di una dogana, da tempo i camorristi incassavano le tangenti sui dazi e i legittimi occupanti della dogana, gendarmi Borbonici prima, Regi Finanzieri poi, non osavano contrastare i malviventi, nel timore di ritrovarsi un coltello piantato tra le scapole.
Sul Ponte della Maddalena imperava, come un sovrano assoluto, lo stesso capintesta della Bella Società, il già citato Tore e’Criscienzo. Spesso lo si poteva vedere ritto sull’ingresso della dogana, con i suoi larghi pantaloni, il suo bastone dal pomello d’argento, e il pollice sinistro infilato nel taschino dell’elegante gilet, segni esteriori del suo incontrastato potere.
Ma chi era questo Salvatore De Crescenzo?
Nato nel 1816, figlio di due giocolieri, si rese ben presto conto che le arti circensi rendevano poco e all’età di quattordici anni entrò nella Bella Società Riformata. La sua ascesa, grazie al suo coraggio e alla sua ferocia, fu vertiginosa e a soli trentatré anni, nel 1849, fu eletto capintesta, battendo la concorrenza del più anziano Antonio Lubrano, detto Totonno ‘a Porta ‘e Massa, che, da quel momento, divenne suo implacabile avversario.
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Liborio Romano in una fotografia
Con il patrocinio del Comune di Bologna