A cento anni dalla morte di Giosuè Carducci cosa rimane ?
Certo per gli studiosi rimangono le poesie, le prose e tutta l’attività letteraria e accademica che gli valse il premio Nobel.
Invece, e soprattutto, per quello che riguarda il nostro Circolo Bolognese della Società di Danza, rimangono gli spazi fisici, i luoghi cioè dove abitò e che attraversò e quelli che lo ricordano perché dedicati a lui.
Nella sua lunga permanenza a Bologna, dove è celebrato come una gloria cittadina, Carducci abitò prima in via delle Banzole, quindi in via Broccaindosso, nella casa del melograno da’ bei vermigli fior..., poi in Strada Maggiore, e infine nella casa divenuta monumento nazionale nell’omonima piazza, all’epoca via del Piombo, dove visse gli ultimi diciassette anni.
Pare riduttivo, ma invero Carducci per noi danzatori significa una bella piazza - che conosciamo quasi pietra per pietra, per averne saggiato spesso con malcelata preoccupazione la compattezza e le insidie di pista da ballo all’aperto -, un armonioso giardino-memoriale, dalle aiuole così curate e fiorite a maggio, e dal verde prato che, col complesso monumentale del Bistolfi in marmo bianco, è stato per noi sala prove, e dove il vate pensoso ha fatto da scenografia notturna nell’ultima rappresentazione, come un misterioso palcoscenico, aulico sfondo suggestivo, alle nostre danze.
La sua casa, che occupò al primo piano, e che al piano terreno venne poi abitata dalle due figlie, è per un giorno all’anno come casa nostra, grazie all’ospitalità del Museo del Risorgimento che ne utilizza una parte dal 1990.
Il Circolo utilizza alcuni ambienti dell’edificio, prospicienti il giardino, con familiarità e allegria, tanto che in una sua stanza appartata un anno venne allattata con tranquillità la piccola Camilla.
Immagine nella pagina:
Casa Carducci a Bologna, particolare della recinzione