Un fiore per Lina

di Pierpaolo Franzoni

Lidia inoltre era stato il nome che portava l’ultima figlia di Carolina e Piva, era una promessa letteraria e morì giovanissima. Evidentemente il suo nome venne ricordato nella mia famiglia che ha vissuto nella capitale del polesine, dove da sempre si rammenta a mezza voce l’aneddoto della flagranza dell’adulterio della Cristofori. Insomma, storie familiari che si raccontano da una generazione all’altra.
Carolina, che l’anno prima si era trasferita a Bologna col marito collocato a riposo, morì nel 1881 di tubercolosi, a 44 anni, ed io, dopo averne conosciuto la particolare storia, e sentendo una sorta di partecipazione alle vicende della malinconica moglie del mio collaterale avo, ne cercai la tomba nella Certosa monumentale. E la trovai, naturalmente.

Lapide sulla tomba di Carolina (Miniatura 218x240 px)È un lastrone posato in alto, in una galleria vicino al campo dove è sepolto in pompa magna il poeta, di marmo grigio, grande e spoglio quanto triste, senza immagine di lei, né qualche decoro che le dia un po’ di leggiadria; solo vi è inciso che il marito rammaricando pose e si sa che l’epitaffio fu dettato dall’amante.
Le informazioni a riguardo della vicenda del suo funerale sono discordanti; una tesi sostiene che il giorno della sua sepoltura fu lasciata completamente sola da tutti gli uomini della sua turbinosa vita. Io abbraccio invece la versione che a me pare più plausibile oltreché letteraria:
Giosuè andò al cimitero a sceglierle il luogo dell’ultimo riposo… l’accompagnò alla Certosa insieme col generale piangente: e tra la neve che si scioglieva spuntavano sui margini del sentiero le primule della nuova primavera. Insieme i due uomini, a capo scoperto, in silenzio, guardarono la piccola cassa disparire nella nicchia che si andava chiudendo.

Così il racconto, quasi affettuoso, del Saponaro nella sua biografia di Carducci, che ci lascia con l’immagine dei due uomini uniti dal dolore per la morte dell’unica donna veramente amata.
Quando passo di là, nelle mie visite al cimitero, la vado a volte a trovare, e sono l’unico in quella zona ottocentesca abbandonata dagli uomini, e vorrei magari portare una rosa, una margherita e non posso farlo. Allora un po’ mi arrabbio con i due illustri uomini: ma perché non avete previsto neanche un vaso, una cassetta, insomma un recipiente qualunque, per posarvi un fiore?


Immagine nella pagina:
Lapide sulla tomba di Carolina

Fine.
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Gennaio-Marzo 2009 (Numero 12)

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Incisione di H. Adlard su disegno dell'architetto J. Oates
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