In questo itinerario voglio raccontarvi di un dolce tradizionale del mio paese, la Tunisia, e per farlo attraverserò il Mediterraneo più volte e in molti sensi. Vi parlerò di un dolce che non ha nulla di orientale e che dall’Italia si è diffuso in quel territorio proprio nell’Ottocento.
Raramente ci interroghiamo sull’origine di cibi che abitualmente troviamo sulla nostra tavola e sul percorso che hanno compiuto per giungere fino a noi. Eppure molti sono frutto di scambi, adottati in un luogo ma nati altrove. Un esempio fra tanti è il pandispagna, quest’umile supporto di ben più sontuose preparazioni.
La storia del pandispagna si perde nella notte dei tempi, ben prima di quell’Ottocento in cui amiamo navigare. C’è chi ha stabilito una data certa di nascita, la metà del Settecento, quando il cuoco genovese Giobatta Cabona, in Spagna al seguito dell’ambasciatore Pallavicini, crea una torta di grande leggerezza in occasione di un banchetto. Però diverse testimonianze scritte risalenti ad almeno mezzo secolo prima ne evidenziano il consumo fra gli ebrei italiani principalmente durante la festa di Pesah, la Pasqua ebraica. Ed effettivamente sembra che questo dolce sia stato creato nel pieno rispetto della Kasherut, quell’insieme di norme e di divieti alimentari stabiliti nella Torah: non contiene lievito come si conviene ad un alimento pasquale e la sua leggerezza è data dagli albumi montati a neve. C’è chi sostiene che sia stato introdotto in Sicilia dagli spagnoli, citando come esempio l’evoluzione della cassata, dolce di origine araba, che proprio a partire dal periodo barocco prevede nella sua composizione il pandispagna, considerato oggi un ingrediente di base del celebre dolce siciliano.
Ma più che l’origine precisa, ci interessa il suo viaggio attraverso il Mediterraneo, un viaggio molto simile a quello di tanti uomini che nel passato, a cominciare da Ulisse, non hanno esitato a solcare il mare nostrum da una sponda all’altra all’incontro di nuove genti. E, come per gli uomini, il viaggio è stato occasione di crescita e trasformazione. L’itinerario ha un inizio probabile, quella Spagna che gli dà il nome e da cui fuggirono tutti gli ebrei dopo la Reconquista ultimata dai Re Cattolici con la conquista di Granada nel 1492. Un inizio certo del percorso italiano è estremamente difficile da stabilire. Ipotizzando che esso abbia avuto la Sicilia come punto di partenza, avrà comunque seguito un itinerario verso nord che da Roma lo porterà verso il resto dell’Europa. Il ghetto di Roma all’inizio del Settecento era giustamente celebre – a quanto scrive Ariel Toaff – per il suo pandispagna oltre che per un’infinità di altri dolcetti pasquali. Da Roma, in cui gli ebrei vivevano in estrema povertà, il nostro dolce si diffonde verso nord insieme al flusso migratorio che porta molte persone verso Pitigliano e soprattutto Livorno, luoghi sicuramente più accoglienti rispetto alla Roma papalina con le sue infinite limitazioni. Diffusosi lungo la costa tirrenica, avrà probabilmente raggiunto anche Genova, a cui qualcuno ne attribuisce la nascita per opera di un cuoco del luogo come abbiamo visto, e da lì si sarebbe diffuso verso nord, se è vero che i francesi chiamano questo dolce Gênoise, ovvero Genovese e lo fanno proprio trasformandone la ricetta.
Ma si sa per certo che è sceso verso sud, attraversando il Mediterraneo per approdare a Tunisi, insieme ai mercanti livornesi che iniziarono a stabilirvisi nel Settecento e che vi crearono una comunità nell’Ottocento tanto importante da dare il nome ad un mercato, il suk-el-Grana, ovvero il mercato dei livornesi tuttora esistente.
Rigorosamente senza lievito come prescrive la kasherut, poiché è il dolce tradizionale della Pasqua ebraica, con il suo vagare da una sponda all’altra del Mediterraneo, perde questa sua connotazione. Infatti, se l’Artusi prescrive esclusivamente l’uso delle chiare montate e qualcuno poco tempo dopo suggerisce l’aggiunta eventuale di un pizzico di bicarbonato, in Tunisia, dove ha preso il nome di bescutu, si aggiunge all’impasto mezza bustina di lievito per dolci. Può sembrare un dettaglio insignificante. Eppure dimostra due fatti storici rilevanti: l’allontanamento sempre più evidente dei livornesi tunisini dalle loro pratiche religiose e la diffusione del pandispagna in altre comunità e quindi in altri contesti culturali. Il dolce perde così del tutto il collegamento con la Pasqua e diventa parte integrante della pasticceria casalinga.
Il percorso del pandispagna, brevemente raccontato ma ricco di implicazioni storiche, esprime in qualche modo l’essere mediterraneo che sa accogliere elementi estranei integrandoli completamente nella propria cultura, e dimostra quanto giustamente scrive lo storico dell’alimentazione Massimo Montanari (Il mondo in cucina. Storia, identità, scambi, 2002): Il confronto con l’altro consente non solo di misurare, ma di creare la propria diversità. Le identità pertanto non esistono al di fuori dello scambio, e tutelare la biodiversità culturale non significa chiudere ciascuna identità in un guscio, bensì metterle in rete.