Elisa ha una tempra particolare. La sua guida, preoccupata di partire con una signora sola, finirà per ricredersi. Verso la fine del viaggio, Turin era contentissimo della mia mancanza di smorfie e del non chiedere mai di fermarmi per strada. D’altronde si adatta a tutte le situazioni, come quando giunge all’ora di pranzo alla prima locanda in Savoia, tanto stanca che - racconta - accostai due panche insieme, mi misi un fagotto sotto la testa ed ordinai a Turin che tra un’ora mi venisse a svegliare.
Consapevole delle difficoltà a cui andrà incontro, Elisa ha certamente preparato con precisione il viaggio, a cominciare dalla sella. Anche l’abbigliamento è adeguato: non ha cerchi alla gonna, indossa pratici abiti di lana nera, una pelliccia, un mantello e uno scialle le permettono di affrontare il vento freddo che soffia sulle cime. Un buon paio di stivaletti dovrebbe proteggerla, ma sul Col du Bonhomme ha sempre i piedi fradici perché - precisa - quando scendevo affondavo nella neve che mi entrava nelli stivaletti. Un abbigliamento di una semplicità primitiva molto diverso da quello delle signore elegantissime incontrate negli alberghi, che hanno con sé un corredo di sacche, scialli, panieri, impermeabili, giacchette, ecc… Signore accompagnate dal marito e dalle figlie che non rinunciano ad apparire come in un salotto. Mi rincresceva tanto che una di quelle signore avesse il viso tinto - osserva, per poi aggiungere - glielo avrei passato in città, ma tra i torrenti e gli abeti e le rupi, il belletto formava una discordanza per me insopportabile.
Elisa percorre in due settimane ciò che è diventato un classico del trekking. Parte da Courmayeur la mattina del 27 luglio e, diversamente da quanto si fa oggi, punta verso sud per attraversare il confine e pernottare a Les Chapieux (1553 m). Da qui inizia la tappa più difficoltosa: il passaggio del Col du Bonhomme, un percorso in salita che la porterà a 2328 m e che compie insieme ad un’altra persona. La partenza è anticipata alle 5 del mattino a causa del tempo incerto. L’impresa non suscita tuttavia grandi emozioni. Il panorama è tristo e desolato (…) Non vedevamo che rocce calcaree nude ed aridissime accatastate l’una sull’altra. Inoltre i due compagni di viaggio non parlarono di altro che delle tempeste del Bonhomme, d’Inglesi morti sul Bonhomme, di cadaveri di turisti ritrovati intatti, l’estate dopo, di viaggiatori smarriti nella tourmente (…).
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Cima del Monte Bianco
Con il patrocinio del Comune di Bologna