Si vide in mostra fra gli altri, e torniamo al nostro protagonista, il dipinto di Fattori vincitore del Concorso Ricasoli. Dopo le lodi che l’estensore della Guida all’Esposizione aveva tessuto ai grandi dipinti di storia si fatica a trovare, liquidato in due righe, un accenno a questo grande quadro, a dire la verità non ancora terminato. La rappresentazione che il nostro pittore livornese ci offre de Il campo italiano dopo la battaglia di Magenta non aveva certo ancora la forza diretta di quella che, anni più tardi, sarà la fotocronaca dei giornalisti di guerra.
Era tuttavia un tentativo di rendere in grande la freschezza e l’immediatezza dei bozzetti che gli abbiamo visto dipingere da qualche anno a questa parte: bozzetti nei quali il soggetto veniva reimpaginato dall’occhio attento dell’artista, ma nei quali l’artificio della sistemazione delle masse e dei movimenti delle persone toglieva poco alla sensazione, appunto, di fotografia. Per il grande dipinto Fattori fece di più. Scelse di rappresentare una scena di retrovia durante lo scontro avvenuto il 4 giugno 1859 tra l’esercito franco-piemontese e quello austriaco, con i soldati italiani che rientrano mentre l’ambulanza delle suore di Carità trasporta i feriti.
Dopo le osservazioni che gli erano state mosse dal comitato che lo proclamò vincitore al Concorso Ricasoli, Fattori approfondì la questione, si recò sul luogo, lesse i bollettini bellici, e ne trasse quel che a lui interessava, ovvero il racconto di una storia vera, incarnata, vissuta. Dovrà passare ancora altro tempo, e molte polemiche, prima che il quadro di storia contemporanea assurgesse alla dignità di quadro di storia tout court. In altra sede, con altri soggetti, gli studi sull’attimo, sulle variazioni di luce, il tentativo di rendere l’immediatezza, è esattamente quello che stavano sperimentando gli Impressionisti a Parigi, se pure con altre tensioni e altre tecniche. Se vogliamo, due modi, paralleli, differenti, di rispondere ad un’unica battaglia già persa in partenza, quella contro l’istantanea della fotografia.
Non parliamo della mala accoglienza di Telemaco Signorini, di Vincenzo Cabianca, o di Odoardo Borrani, i compagni macchiaioli di Fattori. Questi, presentando all’Esposizione dipinti di chiaro soggetto da istantanea, furono oggetto di spregio aperto da parte dell’estensore della Guida il quale, facendo spallucce al politically correct, scriveva: e finalmente un quadretto del signor Temistocle (!) Signorini, uno de’ nuovi, in cui una contadinella che guarda le sue vacche si fa della mano velo alla faccia contro i raggi del sole, che sferza, non velato da nubi, il campicello di grano turco annesso all’umil capanna. Un maligno lo ha chiamato una frittata, ripiena di vacche in gelatina... Si commenta da sé.
La velocità nell’organizzazione dell’Esposizione fiorentina, l’esperimento fino a quel momento mai tentato di affiancare molti stili diversi, molte regioni pittoriche diverse che, pur dialogando nei molti viaggi d’istruzione che i pittori compivano regolarmente, ancora suonavano in parte dialettali, fu comunque un primo tentativo di comporre, anche in questo campo, l’unità nazionale.
Immagine nella pagina:
Giovanni Fattori, Il campo italiano dopo la battaglia di Magenta, 1862, olio su tela, 232 x 348 cm, Galleria d'Arte Moderna di Palazzo Pitti, Firenze