Viaggio (andata e ritorno) nell’alimentazione a Bologna nell’Ottocento

di Stefano Lollini

Molti antichi proverbi bolognesi e zirudèle, fanno risaltare il ruolo prevalente di pane, pasta, polenta e castagne. Per ricordarne qualcuno: Par San Lócca chi à di marón in plócca, chi an n à brîsa as plócca la camîsa (Per San Luca, il 18 ottobre, chi ha dei maroni ne lecca, chi non ne ha si lecca la camicia); Vén ch’al sèlta, pan ch’al canta, furmâi ch’al zîga (Vino che salti, pane che canti, formaggio che pianga sono le proprietà che rendono questi cibi buoni); Lóda la pulänt e mâgna al pan (loda la polenta e mangia il pane, poiché la polenta sazia, ma nutre poco).

Zambelli (Miniatura 526x353 px)In città spesso anche le classi più umili riuscivano a mangiare a sufficienza, a differenza della campagna. Tra i lavoratori quelli con minore disponibilità economica erano gli stagionali, che per lunghi periodi dovevano limitare la loro alimentazione ai cibi meno costosi e ricorrere a forme di assistenza, organizzate a partire dagli anni ’70 da istituzioni pubbliche o private, laiche o religiose. Queste consistevano nelle Cucine economiche, nelle Cucine popolari, nelle Cucine di beneficenza e fornivano pasti caldi a prezzo di costo a coloro che potevano contare su risorse economiche molto limitate oppure gratuitamente ai più disagiati, i quali venivano provvisti di buoni-pasto forniti da enti o da privati. Mi piace ricordare che nel secolo successivo l’attività di sostegno alimentare, condotta su un doppio binario di fornire pasti a prezzi estremamente contenuti oppure gratuitamente, sarebbe stata portata avanti dall’ente erede della Congregazione di Carità cioè l’Ente Comunale di Assistenza (E.C.A), gestore sia di un servizio di ristorazione per operai che di mense per i poveri.

Altri due alimenti provenienti dalle Americhe, oltre al mais, entrarono in modo consistente a far parte della cucina bolognese nell’Ottocento: la patata e il pomodoro. La patata venne inclusa nell’alimentazione umana dopo molte controversie e provvedimenti adottati da autorità civili e religiose determinate a promuoverne la coltivazione; il suo consumo si diffuse solo intorno alla metà dell’Ottocento. Il pomodoro entrò in questo periodo nella composizione del ragù, che tradizionalmente era un soffritto composto da carne bovina, odori (sedano, carota, cipolla), lardo, olio e burro. Il pomodoro veniva utilizzato anche in preparazioni diventate tradizionali come il friggione, composto da pomodori e cipolle, con aggiunta di lardo, soffritti nell’olio.

Importanti per l’alimentazione dei bolognesi furono i formaggi e i latticini la cui produzione e consumo aumentarono lungo il secolo. Il formaggio grana (parmigiano), fondamentale per tante ricette tradizionali come i tortellini e i passatelli, era anche un prodotto di esportazione. Era allora un formaggio dalla crosta ricoperta da uno strato nero che veniva rimosso quando la crosta veniva messa a bollire nel minestrone di verdura o nella pasta e fagioli. La copertura nera aveva lo scopo di preservarne maggiormente il profumo e le proprietà organolettiche, ed è rimasta in uso fino agli anni ’60 del Novecento.


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Maggio 2017 (Numero 27)

Vignetta tratta dal giornale satirico La Rana, n. 19

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