Nelle giornate di agosto, la città vuota mi spinge a esplorazioni che durante l’anno non prendo facilmente in considerazione. Troppa gente mi distrae, troppi rumori di clacson, troppe grida, troppo traffico. È nell’estate canicolare che Bologna dà il meglio di sé: si svuota e mi accoglie tra le sue braccia, si svela, come una donna senza segreti, mi conforta con l’ombra dei suoi portici alti. Ora posso addentrarmi tra i palazzi storici, camminare ignorando i semafori senza timore di essere travolto, leggere le vecchie targhe, entrare in portoni che nascondono giardini…
Posso guardare la mia città con occhi diversi, attenti, e il silenzio delle prime ore della mattina mi accompagna in questo breve viaggio. Anche la luce che investe la città è diversa, radente e chiara.
È interessante notare come le tracce del passato ci sfiorino quotidianamente senza che ce ne accorgiamo. Vite illustri, vicende accadute rimangono lì sospese con segni, scritte, lapidi che aspettano solo che la nostra curiosità le riconosca. Bisogna fare un piccolo sforzo, alzare lo sguardo o aguzzare la vista su targhe annerite dal tempo e dallo smog, ma sono lì, e naturalmente ci chiedono di giocare un poco di fantasia e immaginazione.
Bologna non è sempre stata come ora è, a consumare le sue giornate in malinconiche diatribe, a volte sospese fra mediocrità e indifferenza.
Bologna fu grande centro storico e culturale dell’Europa, città capitale di discipline scientifiche, crocicchio di conoscenze diverse nel crogiolo della sua università, luogo abitato dall’arte e dai personaggi che contribuirono alla storia della loro epoca.
Se partiamo dalle Due Torri e ci incamminiamo lungo Strada Maggiore e i suoi dintorni, in poche decine di metri incontriamo due importanti musicisti, un grande poeta e letterato, un chimico di fama nazionale, un filosofo e il luogo di un caso giudiziario fra i più eclatanti del XIX secolo. Tutto questo, poi, solo se ci limitiamo alle vicende dell’Ottocento e trascuriamo le storie degli altri secoli.
Arrivati al n° 26 vi è la casa di Gioachino Rossini, ornata di fregi musicali, che fu fatta costruire dal musicista stesso fra il 1824 e il 1827, e nella quale abitò tra il 1829 e il 1848. Rossini, il Cigno di Pesaro, fu fra i più grandi musicisti italiani e nella nostra città lavorò per il Teatro Comunale e diresse il Liceo Musicale. In questa casa, tuttavia, Rossini abitò nel periodo che corrisponde al suo ritiro ufficiale dalle scene, avvenuto soprattutto per motivi di salute. Continuò però a comporre perché per la sua sensibilità artistica ciò era necessario, ma non pubblicò quasi più nulla dal 1830; tra il 1831 e il 1841 scrisse lo Stabat Mater e, dopo varie vicissitudini, la seconda e definitiva versione di quest’opera ebbe la sua prima a Parigi nel 1842 e venne replicata a Bologna nello stesso anno. Fu un trionfo, tanto che Rossini venne accompagnato a casa dalla folla entusiasta e osannante. Questa memorabile esecuzione, sotto la direzione di Gaetano Donizetti, fu presentata al pubblico in una sala della antica sede dell’Università, l’Archiginnasio, decorata fastosamente e chiamata in un secondo tempo dello Stabat Mater proprio in ricordo di quel concerto.