Incursioni temporaliChe cos'è un vino naturale

di Maurizio Landi


Il primo elemento, ampiamente utilizzato, da tenere in considerazione è l’anidride solforosa. Originariamente utilizzata esclusivamente come antisettico, oggi interviene in molte delle fasi della trasformazione dell’uva in vino, fino all’imbottigliamento dello stesso. Dal momento in cui l’uva viene raccolta l’utilizzo dell’anidride solforosa viene considerato indispensabile per controllare ossidazioni indesiderate del frutto e/o fermentazioni anomale dovute a batteri che possono portare all’acetificazione del mosto.
Dal momento che la trasformazione dell’uva in vino è avvenuta, il suo intervento rimane insostituibile per la conservazione del medesimo sia in contenitori per la maturazione che, successivamente, in bottiglia. Molti viticoltori hanno tentato di non utilizzare l’anidride solforosa nei loro dei vini ma con esiti incerti. Se, da un lato, una riduzione anche drastica delle quantità utilizzate sembra possibile, anche grazie ad un lavoro attento di selezione delle uve più sane ed al controllo sanitario di tutti i processi di trasformazione, l’eliminazione totale del suo utilizzo sembra molto difficile. Il vino è materia vivente e la sua degenerazione, dovuta magari ad elementi esterni, è estremamente facile, per cui più di uno ha dovuto ricredersi e tornare ad utilizzare l’anidride solforosa, anche se in quantità minime. Peraltro la fermentazione alcolica produce essa stessa una piccola percentuale di anidride solforosa che, quindi, è comunque presente nel prodotto finale.

La fermentazione alcolica non si limita alla trasformazione degli zuccheri dell’uva in alcol, ma contribuisce anche all’estrazione ed alla trasformazione delle molecole aromatiche presenti soprattutto nella buccia. Questa fase è oggetto di importanti attenzioni e ricerche al fine di raggiungere un controllo sempre maggiore della formazione degli aromi del vino; con l’intento ovvio di andare sempre incontro al presunto gusto dei consumatori. Una fermentazione ed un’estrazione naturali, ovviamente, tengono conto esclusivamente delle condizioni dettate dall’uva e dai lieviti, agenti della fermentazione, presenti sull’uva stessa.

Terminata la fermentazione alcolica il vino è quasi pronto; in questa fase si delineano già chiaramente le caratteristiche future del vino stesso. Ed è proprio in questa fase che l’industria chimica offre tutti gli strumenti atti a correggere eventuali difetti, per ottenere un prodotto che si ritiene più adatto ad affrontare il mercato. Correttori dell’acidità, tannini da sciogliere nel vino, gomma arabica per ammorbidirlo e chi più ne ha più ne metta. Ce n’è per tutti i gusti.
Un vino naturale non dovrebbe essere sottoposto a nessun processo di correzione. Finanche la filtrazione, atta a separare inevitabili residui solidi, è considerata con sospetto.

Concludendo, un vino naturale dovrebbe essere il frutto di una trasformazione attenta ed oculata dell’uva coltivata nel massimo rispetto della natura e dell’ambiente. Questo richiede conoscenza, sensibilità ed anche esperienza. Requisiti fondamentali per intervenire nella creazione di un prodotto che contiene ancora in sé un aspetto imprescindibile; la vita.

Esperienza e sensibilità che servono anche a chi si avvicina a questo prodotti.

Fine.
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Aprile-Settembre 2010 (Numero 16)

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