Su Domenico da Piacenza e il primo trattato sull'arte del ballo

Tratto da Danza e Rinascimento, Edizioni Ephemeria

di Alessandro Pontremoli


Nel corso del Quattrocento la corte, complice la cultura umanistica, elabora una nuova forma del vivere e un gusto raffinato in tutte le arti. Accanto allo studio della retorica e della grammatica latina, l’aristocrazia pratica la musica e la danza. I nobili non sono più solo uomini d’armi, imparano la civiltà e le buone maniere, per divenire uomini di potere e colti mecenati. All’interno dei vari momenti espressivi della festa rinascimentale e della vita di palazzo, la danza, al pari di altre componenti, costituisce uno dei modi di espressione della cultura di corte, grazie alle funzioni di intrattenimento sociale e di forma spettacolare. L’affermarsi della figura di un maestro, nel contempo teorico e pratico del ballo, e l’introduzione del trattato di danza fanno sì che il ballare, investito dei canoni umanistici, assurga al rango di vera e propria arte, diventando così una componente indispensabile della formazione dei prìncipi e degli aristocratici e un requisito fondamentale del cortigiano.

Ad inaugurare la tradizione di danza come arte è il maestro Domenico da Piacenza. Nel suo trattato De Arte saltandi et choreas decendi, Domenico utilizza il termine arte dopo poche righe:
Dicendo lui e opponendo per argumenti boni e veri esser quest’arte e demostratione zentille de tanto intellecto e fatica quanto ritrovare se possa.



Ambrogio Lorenzetti, Allegoria degli Effetti del Buon Governo in Città (1338-1339), parete di destra della Sala dei Nove, Palazzo Pubblico, Siena (particolare)

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Maggio 2016 (Numero 26)

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