Il fatto che la mortalità fosse più elevata nei quartieri più poveri e popolosi (zona Lame e S. Felice, soprattutto), fece sì che si diffondessero voci incontrollate di avvelenamenti di massa da parte degli aristocratici.
Nessuno mi leva dalla testa che non ci avvelenino il pane, i pozzi, e le fontane; perché, se così non fosse, ne dovrebbero morire di tutte le sorta, dice un popolano nel romanzo di Farnè.
Orribili sogni e stoltezze di popolo ignorante, commenta Bottrigari la cui madre, colpita dal colera, morì il 16 agosto.
Il picco di mortalità fu toccato il 12 luglio, quando si registrarono ben 169 casi. Solo a settembre i casi diminuirono e a ottobre vi furono giorni senza denunce di malattia. A novembre, così rapidamente e subdolamente com’era apparsa, l’epidemia cessò.

Fra Bologna e provincia, furono colpite 19.450 persone di cui 11.777 morirono, con maggior concentrazione dei decessi nella zona urbana. La camera mortuaria fu allestita nell'antica chiesa di S. Rocco, alla fine di via del Pratello, dove le salme sostavano prima di essere seppellite. Il fatto di non seppellire immediatamente i defunti era dovuto al timore che lo stato di algidismo fosse interpretato come morte e che qualcuno per errore fosse sepolto anzi tempo.
A conclusione, gli storici concordano sul fatto che la gestione sanitaria dell’epidemia fu approssimativa e confusa. A margine di quest’evento terribile, un fatto di cronaca: il 15 luglio, nel via vai di una delle tante processioni messe in atto per scongiurare il morbo, alcuni malviventi si nascosero nel campanile della chiesa dei Santi Bartolomeo e Gaetano. Attesero la chiusura, passarono in chiesa, si appropriarono della
Beata Vergine del Suffragio di Guido Reni e fuggirono da un finestrone che si affacciava su via San Vitale. L’opera fu ritrovata anni dopo a Londra e riconsegnata alla chiesa.
Immagine nella pagina: Bollettino Sanitario dei casi di cholera dal giorno 29 maggio fino alla mezzanotte del giorno 5 ottobre 1855