Mazzini, che non è riuscito ad avere un ruolo attivo durante i moti del 1831, sull’onda emotiva delle tragiche notizie che gli pervengono da Rimini, scrive il pamphlet Una notte di Rimini nel 1831, una veemente accusa d’ignavia contro Luigi Filippo d’Orléans (1773-1850); nonché la dimostrazione che, se l’Italia vuole raggiungere l’Unità, deve contare solo sulle proprie forze. Quell’episodio rafforza in Mazzini il convincimento della necessità che tutti coloro che sono pronti alla lotta siano riuniti in un’unica associazione nell’intento di restituire l’Italia in Nazione di liberi ed eguali, Una, Indipendente, Sovrana. Così, nel luglio del 1831, a Marsiglia, Mazzini fonda la Giovine Italia ed i primi tre articoli dello Statuto indicano gli obiettivi e i principii da realizzare attraverso la lotta per l’Unità: 1° La Repubblica, una e indivisibile, in tutto il territorio italiano, indipendente, e libero; 2° La distruzione di tutta l’alta gerarchia del clero e l’introduzione d’un semplice sistema parrocchiale; 3° L’abolizione d’ogni aristocrazia e d’ogni privilegio, che non dipenda dalla legge eterna della capacità e delle azioni. L’associazione la Giovine Italia verrà sciolta da Mazzini il 5 maggio 1848, per fondare l’Associazione Nazionale Italiana che, nel 1853, confluirà nel Partito d’Azione (1853-1867).
Questi primi articoli dello Statuto della Giovine Italia consentono di cogliere quanti valori mazziniani siano presenti nell’attuale Costituzione italiana (1948): art. 1 L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro; art. 7 Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani; XIV disposizione transitoria e finale: I titoli nobiliari non sono riconosciuti.
Mazzini inizia la sua vita da fuoriuscito, ed è entusiasta: Gli anni dal 1831 al 1833 furono due anni di vita giovine, pura e lietamente devota, come io la desidero alla generazione che sorge, ma la letizia è bruscamente interrotta dal ricevimento dell’ingiunzione di lasciare il territorio francese e soprattutto dalla cruenta morte di Jacopo Ruffini (1805-1833), uno dei suoi più cari amici. Nell’agosto del 1832, le autorità francesi gli ingiungono di lasciare immediatamente la Francia, ma Mazzini ha la necessità di restare a Marsiglia sia per coordinare le attività della Giovine Italia che per mettere a punto l’insurrezione che sta organizzando insieme ai fratelli Jacopo ed Agostino Ruffini (1812-1855), prevista per giugno del 1833. Mazzini vive come un recluso nella sua stanza e, in tal modo, per alcuni mesi, elude le ricerche della polizia, se non che alcuni affiliati genovesi della Giovine Italia tradiscono i compagni consentendo che la polizia arresti i cospiratori e blocchi la sommossa. Le corti di giustizia di Genova ed Alessandria istruiscono i processi avverso i sovversivi, alcuni dei quali sono condannati a morte nonostante la sollevazione non sia nemmeno iniziata! Il tribunale di Alessandria, il 26 ottobre 1833, condanna Giuseppe Mazzini ed altri contumaci alla pena della morte ignominiosa, dichiarando i medesimi esposti alla pubblica vendetta come nemici della Patria e dello Stato. Sempre nel giugno del 1833 le autorità francesi scovano il nascondiglio di Mazzini, che deve trasferirsi a Ginevra. Jacopo Ruffini, che avrebbe dovuto guidare l’insurrezione di Genova, è arrestato il 13 giugno 1833; incarcerato nelle segrete di Palazzo Ducale di Genova, subisce dei brutali interrogatori e, per timore di rivelare i nomi dei compagni, il 19 giugno, tre giorni prima dal suo ventottesimo compleanno, si toglie la vita.
La prematura fine di Jacopo è il secondo tragico avvenimento che scuote Mazzini nei primi anni d’esilio: Jacopo - scrive Mazzini - mi fu amico: il primo, il migliore… Era abitualmente tranquillo, perché ei sapeva che il fine della nostra esistenza terrestre non è la felicità, bensì il compimento d’un dovere, l’esercizio d’una missione, anche dove non vive possibilità di trionfo immediato. Jacopo e Mazzini sono accomunati sia dal genetliaco, entrambi sono nati il 22 giugno 1805, che dalla funesta esperienza di subire l’inganno da parte di coloro che reputavano amici.
Immagine nella pagina:
Nicola Fabrizi in una fotografia del 1866.