Giuseppe Mazzini e la Musica

di Maria Chiara Mazzi

Come capiamo bene da questa richiesta, Mazzini conosce ed esegue la musica del repertorio chitarristico a lui contemporaneo, un repertorio che proprio nella prima metà dell’Ottocento, grazie a grandi virtuosi come Mauro Giuliani, Giulio Regondi, Luigi Legnani e Ferdinando Carulli, in Europa conosce una diffusione e una fortuna senza precedenti sia compositiva che editoriale e concertistica.

Il chitarrista e compositore Giulio Regondi (Miniatura 219x219 px)Giuseppe è un esecutore colto e puntiglioso e, anche a Londra, dove è impossibile trovar musica per chitarra, non smette di studiare e organizzare il proprio studio. E, a proposito di esercizio… con quella precisione puntigliosa che gli riconosciamo, il Nostro si organizza un vero e proprio programma di lavoro giornaliero, costruito sull’alternanza tra tecnica e brani artistici secondo un elenco riportato nello Zibaldone giovanile col titolo pezzi da suonare ogni sera.

Vi troviamo i brani dei chitarristi celebri (come i già citati Carulli e Giuliani) ma anche di concertisti oggi meno noti (come Antonio Nava, Pietro Parrini e Federico Moretti) e, quanto al genere, vi prevalgono le variazioni, trascrizioni e adattamenti alla moda di brani tratti da opere di Rossini o Cimarosa, anche se non mancano rielaborazioni di arie popolari, brani descrittivi e danze popolari.

Oltre a suonare, da solo o in compagnia, all’inizio degli anni Quaranta a Londra, Mazzini svolge poi, inaspettatamente, anche l’attività di promotore di pubblici concerti, organizzati per finanziare iniziative solidaristiche legate al Fondo Nazionale Italiano e la Scuola di Formazione per i giovani italiani immigrati.

Tuttavia, la contiguità tra Mazzini e la musica non si esaurisce qui.

Durante gli anni dell’esilio svizzero, tra il 1834 e il 1837, Mazzini ha modo di allargare anche grazie alla musica il suo interesse verso i popoli e le loro manifestazioni culturali. Mostrando un agire quasi da etnomusicologo, con una attenzione alla musica popolare artefatta, ma sincera, è capace di descrivere alla madre lo Jodel, definito un canto svizzero che consiste in un continuo passar dal basso all’alto, in una serie di ottave che ha qualche cosa di doloroso, ma pur dolcemente doloroso. Non basta, egli decide persino di mettere sulla carta, in una trascrizione per voce e pianoforte, il canto delle mandriane bernesi, sei righe dove la melodia è riportata fedelmente, senza varianti o sviluppi. Attenzione non casuale, ma programmatica, questa al canto dei popoli, se ancora nel 1840 alla madre, da Londra, chiederà: Esiste fra le pubblicazioni musicali d’Italia una collezione, un certo numero di canti e melodie popolari italiane? Dico popolari nel vero senso, intendo, non variazioni o altro su certi temi più facili, ma canti del popolo, melodie delle quali non si sa l’autore, ma che il popolo canta. O è probabile che non esista, benché in tutti gli altri paesi vi abbiano già pensato.


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Il chitarrista e compositore Giulio Regondi.

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Maggio 2022 (n° 32)

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