Affermava Cavour: Il melodramma è una vera grande industria, che ha ramificazioni ovunque. È una frase che coglie tutta la forza di un genere musicale che da fine ‘600 si diffonde in Europa in modo sempre più pervasivo e capillare. Rimaniamo in Italia: a fine ‘700, il teatro d’opera non è più solo il luogo dove passare il tempo, dove trovarsi e conversare e dove la musica è poco più che un piacevole sottofondo. Dall’epoca giacobina, infatti, il teatro è un luogo nel quale veicolare messaggi politici ed esternare i problemi del tempo raccontando storie legate all’attualità, seppur traslate in epoche lontane per non incorrere negli strali della censura.
Nel corso dell’800 poi i teatri si distribuiscono capillarmente sul territorio, sono presenti ovunque, nelle grandi città e nei piccoli paesi, e i nuovi edifici si aggiungono ai tanti teatri di palazzo, a poco a poco anch’essi aperti al pubblico.
Grandi o piccoli, pubblici, semipubblici o privati, questi luoghi consentono così una vasta circuitazione dello spettacolo operistico realizzato da compagnie di varia rinomanza, a seconda della ricchezza dell’impresa.
Dovunque si fa opera, e siccome il pubblico preferisce vedere opere nuove piuttosto che riascoltare quelle vecchie, per riempire i palcoscenici di tutti i teatri occorrono decine di compositori che preparino in fretta e furia opere nuove. Nei cartelloni si affiancano quindi lavori di autori ancora oggi tra i più eseguiti, come Cimarosa, Rossini, Bellini, Donizetti, Verdi o Mascagni, a quelli di ottimi professionisti, come Luigi Ricci e Pietro Generali, Nicola Zingarelli e Stefano Pavesi, Alessandro Paër e Simone Mayr, le cui opere, assai apprezzate all’epoca, vengono oggi riprodotte quasi soltanto nell’ambito di festival specializzati.
Torniamo alla storia.
La distribuzione dei repertori e delle compagnie in giro per la penisola è molto chiara: nelle piazze primarie e nei teatri di prima grandezza vengono proposti dai grandi interpreti internazionali i lavori in prima esecuzione assoluta degli autori più celebri. Poi, man mano che ci si allontana dal centro, nelle piazze di seconda, di terza o di quarta fascia, le stesse opere arrivano qualche anno dopo, rimaneggiate ed adattate agli spazi spesso angusti, offerte a costi più contenuti da compagnie di rango inferiore, organizzate dagli impresari sulla base delle disponibilità di spesa. Bologna, da questo punto di vista, è un vero e proprio microcosmo dove troviamo quasi tutte le tipologie di repertori e di teatri che vogliamo ricordare qui. Ci limiteremo a quelli collocati entro la cerchia delle mura e attivi in un periodo che va, con qualche licenza, dalla fine del Settecento all’inizio del Novecento.
Immagine nella pagina:
Rossini in un’illustrazione del 1912