Ma i bauli? - ansimò Passepartout, dondolando inconsciamente la testa da destra a sinistra.
Non avremo bauli; solo una borsa da viaggio, con due camicie e tre paia di calze per me, e altrettanto per te. Compreremo i nostri vestiti strada facendo. Porta giù il mio impermeabile, il mio mantello da viaggio e delle scarpe robuste, anche se cammineremo poco.
Siamo a Londra, è il 2 ottobre 1872.
Però siamo all’interno del famosissimo romanzo di Jules Verne, Il giro del mondo in 80 giorni. Da sublime romanziere, narratore, scienziato e viaggiatore quale è, Verne riassume in queste poche righe l’essenza del viaggio ottocentesco, dosando abilmente verità e fantasia al fine di sostenere l’impianto narrativo. E visto che di viaggio vogliamo parlare, ci è sembrato opportuno partire proprio da qui, dai dubbi sacrosanti del povero Passepartout sull’organizzazione del viaggio. E dei bagagli da portarsi dietro.
Dal romanzo torniamo alla realtà. La prima cosa che dobbiamo decidere è di quale tipo di viaggio stiamo parlando. Nel passato i viaggiatori sono sostanzialmente di tre tipi: soldati, commercianti, pellegrini. Per i primi il viaggio è di fatto una estenuante marcia per andare a combattere da qualche parte e molto probabilmente morirci. Eventualmente ritornare a casa e prima o poi ripartire per la successiva campagna bellica. Per i secondi si tratta di lavoro, quindi un mezzo di sussistenza. Per gli ultimi è una esperienza di fede, di misticismo. Il viaggio verso mete culturali nasce alla fine del Seicento, e procede fino alla metà dell’Ottocento prendendo il nome di Grand Tour. Tante parole sono già state spese sul Grand Tour, e non stiamo qui a ripeterle. Parliamo di pochi, parliamo di artisti, parliamo di ricchi.
Immagine nella pagina: Baule da viaggio, metà XIX secolo