Riforme settecentesche e Illuminismo
Il processo culturale conosciuto come Illuminismo portò effettive ed importanti riforme in quasi tutti gli stati della penisola, ma andò esaurendo la propria spinta negli anni tra il 1775 e il 1790, quando iniziarono invece a presentarsi ideali totalmente diversi. Le riforme attuate tendevano un po’ dovunque, pur in modalità specifiche, a togliere autonomia e potere politico alla nobiltà (che ne aveva goduto per centinaia di anni) pur mantenendone i privilegi sociali ed economici. Dopo il 1789 le reazioni alle notizie di Francia, che giungevano copiose dopo la presa della Bastiglia, più o meno filtrate a seconda dei canali di trasmissione, furono accolte in modi diversi dalle classi intellettuali, dall’aristocrazia, dalle classi popolari o borghesi, o dal clero; ma anche all’interno di queste classi le reazioni furono tutt’altro che unanimi. Troviamo infatti accoglienza entusiastica, o tiepida, o di convenienza, o rifiuto con le stesse gradazioni in modo trasversale, e ovviamente cambi di parere dovuti all’avvicendarsi degli eventi.
Rivoluzione e suoi influssi
Un intellettuale illuminista milanese come Pietro Verri, a pochi mesi dalla presa della Bastiglia, a fine 1789, osservava che i ceti elevati milanesi che avevano accolto con entusiasmo le notizie di Francia per contrasto verso l’assolutismo imperiale austriaco, stavano mutando parere: I nobili, gli ecclesiastici, vedendo il popolo di Francia intento a togliere tutte le distinzioni a quei ceti, giudicano migliore la servitù condecorata della libertà che non ammette altra distinzione che il merito, e quindi fomentano l’opinione contraria ai Francesi e si fanno profeti della totale ruina di quel vasto Regno.
Immagine nella pagina: Giuseppe Garibaldi