Viva VERDI!

estratto della sceneggiatura

di Alessia Branchi

Per rispolverare il mito di Giuseppe Verdi siamo partiti dalle Lettere che l’artista scrisse nel corso della sua vita. Attraverso le Lettere, tratte dal suo sterminato epistolario e con cui viene ricamata la sceneggiatura del Gran Ballo dell’Unità d’Italia, giunto quest’anno alla sua dodicesima edizione, è possibile conoscere Verdi inserito nel contesto sociale e culturale dell’epoca. Le sue parole, talvolta argute e offensive e talvolta malinconiche e appassionate, rivelano bene i pensieri e il carattere dell’artista.

Ma che necessità vi è d’andar a tirar fuori delle lettere d’un maestro di musica? Lettere che sono sempre scritte in fretta, senza cura, senza importanza, perché il maestro sa che non deve sostenere una reputazione di letterato. Non basta che lo fischino per le note? Non signore! Anche le lettere! Ah! È una gran seccatura la celebrità! Così confidava Verdi all’amico Opprandino Arrivabene in una lettera del 1880.

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Ma se da una parte Verdi si lamenta della celebrità, dall’altra sa di sentirsi il custode della tradizione italiana, custode che svela con orgoglio di artista e patriota. Attribuisce all’arte una funzione molto importante per tenere alto il nome dell’Italia in un momento politicamente difficile. L’arte, infatti, è capace di apportare prestigio quanto una battaglia vinta.

Caro Somma, sono in un mare di guai! La censura è quasi certo proibirà il nostro libretto. Il perché? Non lo so! Aveva ben io ragione di dirvi che bisognava evitare qualunque frase, qualunque parola che potesse essere sospetta. Hanno cominciato per adombrarsi di alcune espressioni, di alcune parole, dalle parole sono venuti alle scene, dalle scene al soggetto. Mi hanno proposto queste modificazioni (e ciò in via di grazia):

  1. Cambiare il protagonista in signore, allontanando affatto l’idea di sovrano;
  2. Cambiare la moglie in sorella;
  3. Modificare la scena della strega trasportandola in epoca in cui si credeva;
  4. Non ballo;
  5. L’uccisione dentro le scene;
  6. Eliminare la scena dei nomi tirati a sorte.

E poi, e poi, e poi!!...

Come supporrete questi cambiamenti non possono accettarsi; quindi non più l’opera: quindi gli abbonati non pagano due rate; quindi il governo ritiene la dote: quindi l’impresa che fa lite a tutti e minaccia a me un danno di 50.000 ducati!...quale inferno!...

Scrivetemi subito e ditemi il vostro parere. Addio.

Con questa lettera, scritta il 7 febbraio 1858 ad Antonio Somma, Verdi si riferisce all’opera Un ballo in maschera, rappresentata il 17 febbraio 1859 a Roma, che ottenne uno strepitoso successo. Dalla platea si alzò il grido Viva VERDI che tutti sapevano voler dire Viva Vittorio Emanuele Re d’Italia. Il Piemonte di Vittorio Emanuele II si stava preparando alla guerra contro l’Austria con l’abile Cavour che aveva manovrato le cose in modo da rendere impossibile all’Austria non attaccare e alla Francia non intervenire in soccorso del Piemonte aggredito. L’opera di Cavour trovava ampio consenso nei moderati, fautori di un’Italia sotto un regime costituzionale, e in questa parte si trovò anche Verdi, ex mazziniano.

L’entusiasmo, che infiammò le platee da Milano a Roma ed oltre, era direttamente figlio dello spartito del 1848 e fu allora che gli italiani tornarono con il ricordo e la fantasia al giovane Verdi, incapaci di vedere nelle opere del momento l’espressione di una fase matura del melodramma italiano e di riconoscere nell’artista un uomo ormai avviato e nel pieno sviluppo della propria arte. Videro solo ciò che la fantasia e l’entusiasmo di quel particolare momento li portavano a sentire: gli echi patriottici del Nabucco, della Battaglia di Legnano, di Ernani.

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Aprile-Settembre 2008 (Numero 10)

Comune di BolognaCon il patrocinio del Comune di Bologna
Verdi seduto su una poltrona fatta con gli spartiti delle sue opere, caricatura di F. Bianco (particolare)

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